La palpa della mamma, un’ode alla lentezza e alla cura.

In questo racconto, la madre usa la "palpa" per preparare il suo risotto, un piatto che richiede tempo e attenzione. La "palpa" è anche un simbolo della lentezza, della cura e della riflessione.

Dice mia mamma che ogni cosa al mondo deve fare la palpa. Ci si esprime così, in dialetto lombardo, per spiegare che tutto ha bisogno di una sua sedimentazione, che si tratti di cucinare un piatto lasciando riposare gli ingredienti o di prendere una decisione, che devessere quindi sempre preceduta da una fase di riflessione.Facciamo lesempio del risotto, piatto notoriamente rinomato nella cucina milanese.

Come fa il risotto lei non lo fa nessuno: le ho chiesto mille volte la ricetta ma, per quella malignità puntigliosa che caratterizza i nati nella sua terra, non me lha mai scritta.Vuole conservare il segreto, ne fa una ragione di orgoglio e di sudditanza: sapendo che mi piace mi obbliga ad andare a trovarla più spesso, per potermelo gustare. Dice però che la fretta è la nemica numero uno di chi cucina il riso: tutto deve essere preparato con calma, la sua specialità è quello con lo zafferano e i funghi, una cosa da svenire dalla bontà.

Ha una teoria generale che applica alle situazioni particolari: in questo caso la regola principale è il dosaggio degli ingredienti e lei comincia col contare i chicchi quasi uno ad uno.

Il riso va amato – mi dice – accarezzato: deve sentire che gli vuoi bene, che lo tratti con cura. Va rimestato con calma, per non fargli del male. E infatti, prodigiosamente ogni chicco resta separato dagli altri, anche a fine cottura, quando lo scodella nel piatto e profuma così tanto e si scioglie così bene in bocca che se ci fosse lì il mitico Giuanin Brera lo degusterebbe con religioso silenzio, accompagnandolo con una buona bottiglia di Bonarda del suo Oltrepo Pavese. Forse lui saprebbe dargli la soddisfazione che merita, cosa che io non riesco a fare essendo invece impastato di fretta e di ansia dalla testa ai piedi.

Di ogni piatto che lei cucina arrivo però quasi sempre a grattare il fondo della pentola, per non perdere i rurgli, cioè la parte più saporita. Ma per quanto riguarda il risotto personalmente non sono in grado, per incompetenza e premura, ad andare oltre le buste precotte. Il principio della palpa è quasi un dogma da applicare a tutte le vicende importanti e semiserie della vita: non bisogna avere premura, le cose vanno ragionate, meglio passarci su la notte, dormirci sopra, la fretta è sempre cattiva consigliera.Avendo fatto linsegnante lei lo utilizzava anche in didattica, con successo, abituando i suoi alunni allesercizio del pensaci bene. Debbo dire che quando ero supplente ci provavo anchio a fare come mi diceva lei ma poi ho perduto la pazienza strada facendo e in un certo senso lambiente di lavoro della suaMilano non mi ha certo aiutato a conservare quella saggia flemma.

Ma questa è una virtù trasversale: un saggio ispettore scolastico, dal quale ho appreso labc del mio mestiere e la maggior parte delle cose professionali veramente importanti e che ora mi tornano utili – è piemontese ma vive a Genova da sempre – mi ripeteva questo grande insegnamento: ricordati, Francesco, che leccesso di zelo è più pericoloso del rinvio, dellattesa, della meditazione, a volte persino della dimenticanza e del tralasciamento. La vera saggezza consiste nel dosaggio sapiente del buon senso comune, una virtù che non conosce frontiere ma la cui pianta sembra purtroppo non metter più radici. A modo suo, mia madre è una no-global, nel senso che non attribuisce alcun valore a tutte le diavolerie moderne che ci mettono in contatto simultaneo con il mondo ma che ci fanno ragionare spesso con le idee altrui, come tanti burattini.

Ha i piedi ben piantati per terra, quel gusto per la concretezza tipico dei padani: vuole maneggiare, vedere, usmare(odorare), è quindi al contrario- una strenua fautrice del local. Non va certo in corteo e non sventola bandiere e cartelloni ma è fermamente convinta che la maggior parte di ciò che ci viene detto e raccontato sia tutta una finzione, immagina che nei palazzi della politica, delleconomia e delle istituzioni ci siano dei retrobottega dove i potenti – non visti si sfregano le mani pensando compiaciuti a come fottere la gente. E qui siamo già ad un argomento che va oltre la buona tavola ma che fa salva la regola della palpa. Limportante dice lei – è non farsi soggiogare dallimpeto subitaneo: di ogni cosa fatta in fretta e furia, in modo subitaneo appunto, prima o poi facilmente ci si pente.

Ogni desiderio, progetto, pensiero deve fare la sua palpa.Solo così si prosmanole cose, ci si può andar vicino, si studiano, si osservano per poter ragionevolmente presagire, si fiutano gli eventi, si annusa il futuro. Perché la palpa funzioni bene si devono metter giù tutte le pedine, ad una ad una, per disporre di tutti i possibili elementi di valutazione: ogni particolare può costituire infatti una variabile determinante. Quando i dettagli si manifestano anche le possibilità si esprimono meglio: a poco a poco nel dosaggio sapiente degli ingredienti, a cominciare dai pro e dai contro messi sul piatto della bilancia- tutto lentamente prende forma e si chiarisce. Bisogna però vagliare le situazioni, ponderarle, soppesarle affinchè la realtà possa quagliare, coagularsi e finalmente apparire, disvelarsi, palesarsi nella sua possibile evidenza.

Naturalmente non tutto accade per caso né i problemi si risolvono da soli: bisogna usare capacità critica, discernimento, raziocinio ma anche cuore e sentimento, agire sempre con un intimo e sincero sentire. Usare la regola della palpa serve quindi ad arrivare ad una personale verità, che ci rasserena e ci rende persuasi: è quello il momento in cui ci rendiamo veramente conto che la cosa che stiamo per fare è quella giusta. Questo vale per noi e per gli altri: ciascuno deve avere il tempo e il modo di fare le sue valutazioni, di maturare certe scelte con avvedutezza: è anche un modo per rispettare tutti.

Si può pertanto concludere che la palpa serve per sentirci più decisi e convinti, direi quasi liberi e indipendenti, specie dai luoghi comuni e dal pregiudizio. Ho avuto più volte occasione di riscontrare di persona che questo modo pragmatico di pensare fa parte della mentalità lombarda ma dato che il buon senso che lispira non conosce cittadinanza e frontiere lho ritrovato con piacere spesso anche altrove. A cominciare proprio tra i genovesi doc dai quali ho imparato di buon grado che l’è megio mette a testa a coxe primma de parlà” (‘è preferibile metter la testa a cuocere prima di parlare). Voce del verbo riflettere. E ho capito che questo è davvero un concetto interculturale, almeno a livello ligure-lombardo, ma penso sicuramente anche da tante altre parti.

Cautela, prudenza e temperanza non hanno confini e vanno bene ovunque, in ogni contesto esistenziale. Purtroppo lantico detto latino festina lente(affrettati piano), il procedi con cautela, lentamente, mal si concilia con il fast food contemporaneo e non mi riferisco solo alla cucina ma al modo di affrontare i problemi, piccoli o grandi che siano: sempre di corsa, sempre di fretta, trascurando le cose davvero importanti della vita la prima delle quali siamo noi stessi e insieme a noi i nostri affetti. Pensando e parlando con la testa degli altri finiamo col rinnegare il nostro modo di essere, le nostre radici da cui potremmo invece attingere insegnamenti utili e buon senso pratico, a cominciare dalla saggezza delle persone anziane, spesso più eloquente di molti manuali e trattati difficili e complicati.

Dovremmo saper andare verso il futuro con la nostra storia, per dar valore a entrambi: il passato e ciò che deve ancora venire, essere noi stessi per imparare a migliorarci.

Ha scritto Enzo Biagi che di tutte le cose che sentiamo dire nella vita possono tornarci veramente utili soprattutto quei tre o quattro insegnamenti ricevuti in famiglia. Come dice il mio amico Giulli, prima edicolante e ora pensionato nonché genovese doc al cento per cento, siamo davvero tutti spersonalizzatie trovo questa definizione più calzante e più efficace di quella che potrebbe inventare lantropologo culturale più famoso che ci sia sulla faccia della terra.

[Il testo del racconto, scritto da Francesco Provinciali, è un paragrafo del libro Ligurelombardo, non più in libreria].