Quando si enunciano alcune parole, o citazioni, scatta d’incanto un preciso richiamo storico, culturale e politico. È il caso, nello specifico, delle parole “tempi nuovi”. Un incipit, questo, di uno storico intervento di Aldo Moro pronunciato in occasione di un Consiglio nazionale della Dc il 21 novembre del 1968. “Tempi nuovi si annunciano – diceva il leader della Dc in quel discorso – ed avanzano in fretta come non mai. Il vorticoso succedersi delle rivendicazioni, la sensazione che storture, ingiustizie, zone d’ombra, condizioni d’insufficiente dignità e insufficiente potere non siano oltre tollerabili, l’ampliarsi del quadro delle attese e delle speranze all’intera umanità, la visione del diritto degli altri, anche dei più lontani, da tutelare non meno del proprio, il fatto che i giovani, sentendosi ad un punto nodale della storia, non si riconoscano nella società in cui sono e la mettano in crisi, sono tutti segni di grandi cambiamenti e del travaglio doloroso nel quale nasce una nuova umanità. Nel profondo, è di una nuova umanità che vuole farsi, è il moto irresistibile della storia”.
Sì, ho voluto citare un passo, forse il più significativo, di uno degli maggiori interventi dello statista pugliese barbaramente ucciso dai terroristi delle Brigate Rosse senza alcuna convivenza con alcuni settori democristiani, come una recente vulgata informativa vuol far incredibilmente e grottescamente credere. Certo, eravamo a fine degli anni ‘60 e, soprattutto, si parla del linguaggio ‘moroteo’, quasi antropologicamente alternativo rispetto a quello che caratterizza il dibattito politico italiano dopo la fine ingloriosa della prima repubblica. Eppure, se riletto con attenzione e con la dovuta pazienza, è proprio il linguaggio ‘moroteo’ che spinge continuamente la politica a riflettere su se stessa, sui suoi limiti e sulla sua capacità di saper anticipare i “tempi nuovi che si annunciano”. E, al di là dello scorrere delle fasi storiche e dei profondi cambiamenti che caratterizzano la politica italiana in continuo divenire, è indubbio che l’unico elemento che qualifica una classe dirigente politica è quello di saper leggere ciò che capita nella società dando, al contempo, una risposta politica, culturale e anche istituzionale. Cioè, di natura legislativa e strutturale.
Questa è stata, del resto, la grande originalità della classe dirigente democratico cristiana per quasi cinquant’anni nella vita democratica nel nostro paese e questa, d’altro canto, resta la grande sfida attorno alla quale si gioca la capacità, oggi, di chi continua a riconoscersi in quel filone ideale per dare un contributo significativo al cambiamento e al rinnovamento della politica italiana. Altrochè limitarsi a giocare un ruolo marginale, ornamentale e del tutto ininfluente in alcuni partiti cosiddetti “plurali”. Come, ad esempio, gli amici Popolari che pensano ancora di declinare una presenza significativa in un partito come il Pd che persegue, invece, un disegno politico e un progetto politico del tutto estranei ed esterni alle ragioni e alle attese della cultura e della tradizione del cattolicesimo politico e sociale italiano. Ma, al di là del futuro e della prospettiva del Pd, quello che semmai va evidenziato è che, quando si evocano e si annunciano “tempi nuovi” per la politica del nostro paese, occorre riempire di contenuti e di scelte concrete quell’orizzonte ideale che si delinea.
Un’esperienza come quella dei Popolari, frutto della cultura e della tradizione del cattolicesimo politico e sociale, ha il dovere di continuare ad ispirarsi a quel richiamo per segnare la sua presenza nella cittadella politica italiana contemnporanea. Respingendo la tentazione di limitarsi a declinare un ruolo testimoniale o puramente dadaista. L’orizzonte dei Popolari, oggi, è quello di saper recuperare la capacità di anticipare i problemi che attraversano la nostra società per poter guidare un processo politico di avanzamento sociale, di consolidamento democratico e di crescita della dignità della persona. Per questo, credo, il nostro compito, oggi, è anche quello di affrontare e, possibilmente, di contribuire a governare i “tempi nuovi che si annunciano” nel nostro paese. Senza arroganza e senza alcuna presunzione di “superiorità morale” ma solo e soltanto con le armi della politica, della cultura politica e dell’autorevolezza della classe dirigente.