La riammissione della Siria nella Lega Araba non è una buona notizia

Non è un organismo con molti poteri, ma almeno sul piano simbolico la Lega è importante. Questo significa per Assad un riconoscimento importante, decisivo. Ha vinto lui, a costo di un Paese distrutto.

Bashar al-Assad è il dittatore responsabile della morte di oltre mezzo milione di suoi connazionali, della incarcerazione di oltre 100.000 oppositori del regime, della scomparsa di decine di migliaia di loro, dell’utilizzo di armi chimiche contro persone inermi, della devastazione del suo Paese, di milioni di sfollati senza più un luogo dove andare. E di molte altre nefandezze. Ebbene, la Siria di Bashar al-Assad è stata riammessa – 12 anni dopo esserne stata espulsa – nell’organizzazione della Lega Araba, unico voto contrario quello del Qatar, sette gli astenuti, tredici i favorevoli. Una notizia che è passata velocemente sui quotidiani e che ha interessato solo le (poche) persone interessate agli avvenimenti della politica internazionale. Una notizia, però, che è di una gravità estrema.

 

Non solo per l’aspetto etico della vicenda. Il dittatore siriano in tutti questi anni non ha mai, mai, mostrato un minimo segno di pentimento o anche solo di riflessione su quanto compiuto in questi lunghi anni di guerra civile. Ma anche per gli aspetti più propriamente politici. Ufficialmente o, meglio, informalmente, si dice che vi sia stato – pare – un qualche impegno di Damasco al contrasto dell’esportazione di questa nuova potente droga, un’anfetamina denominata Captagon, che sta infestando il Medio Oriente della quale la Siria è divenuta il luogo di smistamento principale. Un impegno che il dittatore avrebbe potuto assumere dal momento che, si mormora, il commercio della sostanza stupefacente ruoterebbe intorno a suo fratello, Maher al-Assad, che con questo “business” avrebbe fatto miliardi di dollari.

 

La realtà, però, è che – al di là di questa pur credibile motivazione – i paesi dell’area hanno probabilmente realizzato che non si può prescindere da Assad nel rapporto con la Siria, un paese la cui guerra interna ha comportato enormi problemi per tutte le nazioni vicine, non solo quelle confinanti. Disperati emigrati che si sono rifugiati in Libano, Giordania, Turchia (per non dire di quelli già da anni arrivati in Germania) determinando tensioni sia economiche sia sociali in nazioni già in difficoltà per conto loro. Una presenza non solo logistica (con i porti militarizzati di Latakia e Tartus) della Russia non a tutti gradita; il rischio di nuovi insediamenti jihadisti in un territorio non completamente governato; e ora pure la devastazione indotta dalla “droga dei combattenti”, come viene chiamato il Captagon.

 

Inoltre, è bene dirlo, il grande attivismo nell’area in questi ultimi mesi (a cominciare dalla ripresa dei rapporti fra Arabia e Iran favorita dalla mediazione cinese) è un ulteriore segnale di voluto allontanamento dall’occidente: l’Unione Europea non esiste da quelle parti, e quando è presente lo è con alcuni singoli stati nazionali; ma soprattutto sono assenti gli Stati Uniti, assenti di fatto dalla vicenda siriana sin da quando Obama decise di non intervenire nonostante l’accertato utilizzo di armi chimiche contro la popolazione civile utilizzate dall’esercito di Assad. 

 

La Lega Araba non è un organismo con molti poteri, tanto che la riammissione di Damasco nel suo seno non significa automaticamente la ripresa dei rapporti diplomatici con la Siria da parte di tutti i paesi che ne fanno parte, ognuno decidendo autonomamente cosa fare. La Lega è però importante almeno sul piano simbolico, e forse non solo, naturalmente: questo significa per Assad un riconoscimento importante, decisivo. Ha vinto lui. Al prezzo di un paese distrutto, ora anche dal devastante terremoto di pochi mesi fa, e soprattutto violentato nella sua anima interiore, laddove un barlume di giustizia si vorrebbe preservare e invece si deve amaramente riconoscere che per essa non c’è posto.