La Russia nel Sahel: una nuova guerra fredda?

Mosca sta investendo in Africa per l'accesso alle risorse naturali, il controllo delle rotte migratorie e l’aiuto a “governi amici”. Il golpe militare in Niger è un forte campanello d’allarme per l’Europa..

Quanto il continente africano sia ritenuto strategico da Cina e Russia lo testimoniano l’impegno e i mezzi che quei due paesi hanno lì investito negli ultimi dieci/quindici anni. La prima prevalentemente sul terreno economico e infrastrutturale (ma non solo: a Gibuti, luogo strategico sullo stretto di Bab al-Mandab fra il Mar Rosso e il Golfo di Aden, uno dei “colli di bottiglia” più importanti del mondo, è presente con una base navale sita a poche miglia da quella americana). La seconda (ed è sulla Russia che ora ci concentreremo) su quello dell’assistenza militare e di intelligence offerta a diversi governi, per lo più militari e (semi)dittatoriali, con particolare riguardo all’area subsahariana, come noto divenuta strategica nella gestione delle migrazioni che muovono verso il Mediterraneo e i paesi europei.

 

La mappa degli interventi è variegata, ma il comune denominatore del ritorno dell’investimento per Mosca è duplice: la possibilità di sfruttare con vantaggiose concessioni le miniere di risorse naturali presenti in quei paesi (dal petrolio all’oro, ai diamanti e, oggi ancor più importanti, al litio e all’uranio) dal punto di vista strettamente materiale; da quello del c.d. “soft power”, invece, un sostegno diplomatico al Cremlino in sede di Nazioni Unite e ora il progressivo tentativo di allargare l’area BRICS (come scritto qui l’altro giorno da Giuseppe Davicino), cui Putin sta dedicando molte energie (come si è visto anche nel recente incontro di San Pietroburgo con una ventina di Capi di Stato/di Governo africani, peraltro non risoltosi in un trionfale successo) nel tentativo dichiarato di costruire un asse mondiale ostile all’occidente, o comunque ad esso non succube.

 

In effetti la serie innumerevole di colpi di stato nei paesi dell’Africa subsahariana pare muovere verso un’unica direzione, quella voluta da Mosca. Il golpe in Niger è solo l’ultimo di questi eventi, e anche se formalmente il Cremlino non lo ha salutato calorosamente, i suoi esiti al momento rafforzano l’impressione che il lavoro sporco del Gruppo Wagner (anche se in questa fase non è ben chiaro quale sia il suo rapporto con il governo russo) sia stato rilevante ai fini della soluzione raggiunta. 

 

Il primo risultato prodotto a Niamey, la capitale del Niger, è stata l’apertura di una grave crisi con la Francia che potrà avere impatti importanti sull’insieme delle nazioni europee, in quanto il Niger era l’unico stato dell’area rimasto a fianco degli occidentali, che ora invece una grezza campagna propagandistica ha individuato come responsabili di ogni problema nazionale arrivando a incitare Putin e la Russia e a minacciare i francesi ivi presenti. Un film già visto nei vicini Burkina Faso (due golpe nel 2022) e Mali (un golpe nel 2020 e un altro nel 2021) ove l’ostilità popolare ha portato Parigi alla decisione di ritirare i propri militari ivi presenti in funzione antijihad. Ed infatti le giunte militari di questi due paesi hanno immediatamente riconosciuto quella nigerina avvertendo altresì la comunità internazionale della loro determinazione a difendere il Niger da ogni eventuale attentato alla sua sovranità e indipendenza. Affrontando in questo modo a muso duro la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS), colpevole a loro dire di aver condannato il golpe del generale Tchiani chiedendo al contempo il reinsediamento entro un mese del deposto Presidente Mohamed Bazoum eletto democraticamente solo due anni fa.

 

Il Sahel centrale però non si limita a queste sole tre nazioni. Ve ne sono altre due, entrambe rilevanti per dimensioni territoriali e risorse minerarie. Ebbene, pochi mesi fa in Sudan la rivolta contro la giunta militare insediatasi nel 2021 avviata dalla milizia RSF (dietro la quale non è difficile scorgere il profilo del Gruppo Wagner) ha avviato una specie di guerra civile il cui sviluppo è ancora tutto da delineare. Mentre in Ciad, ove gli Stati Uniti hanno posto le proprie basi operative di contrasto alla jihad imperversante nel Sahel, la guerriglia antigovernativa è supportata dai mercenari Wagner allo scopo di detronizzare il Presidente Mahamet Idriss Deby (succeduto nel 2021 al padre, ucciso da un gruppo guerrigliero) e insediare un governo ostile agli occidentali e collegato con Mosca, come certificano gli appelli per ottenere un aiuto a tal fine rivolti alla Repubblica Centrafricana, che nonostante sia uno dei paesi più poveri al mondo si consente il lusso di cedere a Wagner e per questo tramite ai russi le proprie risorse minerarie e diamantifere in cambio di sostegno politico e militare.

Ecco allora che la progressiva espulsione degli occidentali dai territori saheliani non può venire valutata singolarmente, paese per paese. E’ tutta una zona, da ovest a est, che si sposta geopoliticamente. Verso una Russia in piena espansione. Non può essere un caso. Una regione a forte penetrazione jihadista, oltre che di transito per le onde migratorie che poi approdano a nord, in Libia, Algeria, Tunisia, Marocco. Dunque una regione strategica per l’Europa su due delle sue partite più rilevanti e pericolose: terrorismo e migrazioni. Ce n’è a sufficienza, come ha osservato il prof. Prodi in un articolo su il Messaggero, per organizzare un summit con gli africani. Come Unione Europea, non come singoli stati.