Ci sono passaggi della vita democratica di una nazione che spiegano molto più e molto meglio di qualsiasi trattato la “verità” dei processi politici. Abbiamo consumato mesi a discutere del radicalismo proposto dalla nuova dirigenza del Pd. Ci siamo interrogati sulle conseguenze di una scelta che rompe con la fisionomia di un partito votato, in origine, alla ricomposizione delle culture riformatrici del Paese. Siamo stati anche attaccati in ragione del rifiuto di questa mutazione genetica per la quale il cattolicesimo democratico paga un prezzo inaccettabile. Tutto questo si riassume e si chiarisce nella decisione adottata ieri di allineare il Pd all’auto candidatura del radicale Cappato alle suppletive di Monza.
Naturalmente non è in discussione le qualità oggettive della persona, perché Cappato, con le sue idee e le sue battaglie, ha dimostrato negli anni di essere una persona coerente, capace di sacrificarsi per l’affermazione di libertà che considera dogmi. Il problema è che una coscienza cristiana, per quanto aperta e fiduciosa nel progresso, fatica ad adeguarsi al dogma di una libertà umana senza più limiti. Cappato questo limiti, da buon radicale, non sente il bisogno di riconoscerli. La sua è una candidatura vincente? No, con il suo carico divisivo può solo ambire al consolidamento di una minoranza, sia pure corposa, che sfida la destra nel segno di un progressismo di marca libertaria. Vedremo quali scenari può aprire, anche in vista delle elezioni europee del prossimo anno. Andiamo incontro all’inevitabile trasformazione del quadro politico. C’è da chiedersi se Calenda abbia valutato il contraccolpo che determina la vicenda di Monza. È stato il primo a spianare la strada alla candidatura di Cappato, in sostanza mettendo il Pd alle strette. Ora, se il carattere di questa operazione politica obbliga tutti a un supplemento di riflessione, anche tra le fila di Azione può aprirsi un dibattito. In un certo senso potrebbe essere salutare, per fare chiarezza politica. Non credo sia agevole per i “moderati” di quel partito rassegnarsi allo schema applicato in queste suppletive. Un conto è lanciare slogan sulla necessaria convergenza di popolari e liberal-democratici, altro è mortificare il popolarismo con la sua riduzione ad orpello della visione radicale della società e della politica. È una deriva inaccettabile, per questo bisogna recuperare l’autonomia dei popolari. Non è più tempo di divisioni.
La sinistra sceglie Cappato, anche per questo i popolari devono tornare uniti.
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