La solitudine è una pandemia più grave del Covid.

Dovremo prepararci a qualcosa di inedito. Di morti solitarie se ne sa già abbastanza e non si avvertono particolari palpitazioni di tristezza al riguardo. Ai cimiteri senza visitatori dovremo invece abituarci.

 

Giovanni Federico

 

Dare una scorsa alla Treccani più di una volta può tornare utile per mettere le idee in chiaro chiamando le cose con il proprio nome. Così si legge che se demos è il popolo, epidemia è «sopra il popolo, nel popolo» e pandemia è «in tutto il popolo». Vien poi fuori un nuovo termine: la sindemia, «insieme al popolo», ovvero “l’insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici prodotti dall’interazione tra due o più patologie epidemiche, che comporta pesanti ripercussioni sulle condizioni di vita della popolazione colpita”.

 

“Ci troviamo di fronte al dilagare incontrollabile della pandemia, oggi di fatto divenuta una sindemia – un insieme cioè di patologie pandemiche non solo sanitarie, ma anche sociali, economiche, psicologiche, dei modelli di vita, di fruizione della cultura e delle relazioni umane. Emerge dunque la priorità di presidiare il territorio, controllandone i microfenomeni casa per casa, individuo per individuo, famiglia per famiglia”, ammonisce Claudio Cricelli, Presidente SIMG.

 

In lingua inglese il termine “sin” si traduce in peccato. Sin City è un film dove i personaggi, confondendosi, si intrecciano con immagini di fumetto e l’ambiente è di quelli dove la bontà non è neanche nei titoli di coda. Il peccato pare strizzare oggi l’occhio alle malattie, continuamente intorbidendone l’acqua e l’esattezza del nome. Che sia pandemia o sindemia il risultato non cambia.

 

Si sa che le mode dagli Stati Uniti dopo qualche anno approdano anche da noi che le digeriamo con gusti europei. Ora, senza atteggiarsi a esperti della materia per dire con precisione in che campo si versa, per certo dovremmo prendere sul serio l’allarme che viene da quella parte del mondo. Il massimo responsabile in materia sanitaria del Governo USA, Vivek Murthy, ha lanciato un avviso agli abitanti del pianeta per guardarsi fin che si è in tempo da un male che avrebbe effetti assai più gravi del Covid. Alla fine, per quest’ultimo, tra vaccini e farmaci, la situazione è stata fronteggiata. Contro l’epidemia di solitudine denunciata da Murthy occorrerebbe ben altro spendersi, forse impossibile alle società di oggi. Si tratterebbe non di cavarsela con qualche risorsa della ricerca scientifica, ma di apprestare una risposta di inaudito impegno. Una fatica insostenibile per gli uomini d’oggi chiamati a dare del loro, non rimandando il compito ai sapienti intrugli medici.

 

Nelle arti, quello della solitudine è tema antico e ripreso di tanto in tanto, ogni volta lasciando comunque sempre un segno. “Cent’anni di solitudine” scriveva Marquez, “La solitudine dei numeri primi” è un bel film di Saverio Costanzo, ”In my solitude” cantava Billie Holiday e si potrebbe andare avanti con molti altri titoli ancora. In un suo studio Murthy ci dice che circa la metà degli americani adulti è caduto in uno stato di solitudine ed isolamento. Stante il raddoppio dei single nell’ultima metà del secolo, si prevede un aumento della morte della popolazione pari alla non risibile percentuale del 30%. Il fatto insomma non è da confinarsi in ambito sociologico e psicologico ma si traduce ancor più nel concreto, incidendo sulla effettiva condizione di salute di chi ne è colpito. Il rischio è di tornare, per comodità, a qualcosa di simile alla legge della giungla. Solo i più forti sopravviveranno mentre per gli altri non è previsto scampo.

 

Del resto le morti a causa dell’inquinamento sono già nel conto di ciascuno di noi. Troppo complicato smettere di sporcare il pianeta intossicandolo per ogni dove. Più facile registrare come ineludibili le morti che conseguono. Così dovremo prepararci a qualcosa di inedito. Di morti solitarie se ne sa già abbastanza, se ne parla da tempo e non si avvertono particolari palpitazioni di tristezza al riguardo. Ai cimiteri senza visitatori, né fiori, né traccia di attenzione dovremo invece abituarci. Ai morti di solitudine spetta per coerenza un campo da nessuno calpestato. Solo i becchini ne conosceranno la toponomastica ma subito il lavoro ne prenderanno il largo per non turbare la regola del posto.

 

Si è soli non per vantare uno stato “esclusivo” rispetto ad altri quanto invece di esclusione dal mondo. Dovremmo apprendere forse tornando alle antiche regole delle formiche dove trovano la forza nella comune collaborazione, mentre invece più lestamente stiamo imparando a mangiarle. Agli uomini, si sa, piacciono le scorciatoie.