Alcuni anni fa, rispondendo a un’interrogazione parlamentare su uno dei tanti (sanguinosi) misteri italiani, Giuliano Amato commentò che in questi casi “le domande sono sempre più affascinanti delle risposte”. È probabile che a maggior ragione se lo sia ripetuto in questi giorni, dopo aver puntato il dito contro la Francia rievocando la strage di Ustica. Un’uscita che ha sollevato una piccola onda di sospetti nei suoi confronti inducendolo poi a minimizzare le sue stesse rivelazioni.
Ora, chi scrive non ha elementi né per suffragare la tesi di Amato né per contestare la sua ricostruzione. La gran parte degli indizi punta effettivamente in quella direzione, ma se a 43 anni di distanza non s’è ancora raggiunta una certezza è segno che la controversia è destinata a proseguire. E con essa un certo alone di mistero, l’ennesimo, che vela la ricerca della verità sui nostri anni più torbidi e più sanguinosi.
La domanda che dobbiamo porci è se una democrazia degna del nome può convivere con quel mistero. E la risposta, purtroppo, è meno ovvia di quel che si vorrebbe. Dato che col passare degli anni le cose si ingarbugliano, e se una risposta non si trova sulle prime diventa sempre più difficile trovarla dopo.
Non possiamo rassegnarci a non sapere, è ovvio. Ma il processo che conduce verso verità incontrovertibili è sempre lastricato di sospetti, doppiezze e tentativi di de- pistaggio. Così, continuiamo a indagare le ombre della nostra storia repubblicana. Sapendo che una Repubblica ha soprattutto bisogno di luce.
Fonte: La Voce del Popolo – 7 settembre 2023
[Articolo riproposto per gentile concessione del settimanale della Diocesi di Brescia]