L’ultimo intervento pubblico di Mario Draghi, questa volta sulle colonne dell’Economist, esprime una visione lucida e puntuale su ciò che l’Unione Europea deve affrontare, se vuole mantenere in futuro il livello di sviluppo raggiunto e esercitare un ruolo significativo a livello globale.
Un contributo, quello di Draghi, tanto più importante, perché cade in una fase di fine mandato delle istituzioni europee, purtroppo segnata da tentazioni di un illusorio ritorno all’Europa ordoliberista pre-Covid, sul versante economico, e pre-guerra sul versante geopolitico, e in generale segnata da una tendenza a fare come se tempi nuovi non fossero arrivati.
Perché l’articolo di Draghi dell’altro ieri, come già i suoi due ultimi interventi dagli Stati Uniti, ruota attorno al tema di quali siano le misure più idonee e necessarie per garantire la tenuta del sistema Europa nell’attuale nuovo contesto geopolitico.. E la sua proposta costituisce un invito a fare insieme, secondo il più genuino principio di sussidiarietà, caro alla tradizione del popolarismo, ciò che fatto da soli, da ogni singolo Paese europeo, sarebbe inadeguato alle sfide dell’ambiente, dell’innovazione, della sicurezza e di rendere l’Ue uno dei poli del mondo multipolare. In questa prospettiva rientra il superamento del tabù dei trasferimenti fiscali all’interno della zona Euro, addirittura come condizione per il futuro della moneta comune.
E rientra la presa di coscienza, necessaria e urgente, che quelli che sono stati i pilastri della prosperità e della sicurezza per l’Europa non si possono ora dare più per scontati, nel campo della sicurezza, del commercio internazionale, dell’energia. E che pertanto serve una iniziativa comune e unitaria come UE e non più solo come singoli stati, la sola che garantisca la massa critica necessaria all’Europa a stare al livello di giganti del nostro tempo come l’Unione Africana, l’India insieme a Stati Uniti, Russia, Cina..
Ora, il Centro che si sta organizzando come lista unitaria per le prossime elezioni europee, proprio perché intrinsecamente si pone oltre la sterile contrapposizione destra-sinistra, è l’area politica che sembra più attrezzata a elaborare una proposta, capace di affrontare le questioni cruciali attinenti al futuro e alla stessa sopravvivenza dell’Europa, che Mario Draghi va ponendo nel dibattito internazionale. Una prova di ciò la si è avuta anche da come il leader del Centro – benché non certo unica sua espressione – Matteo Renzi, ha posto il tema dell’Europa in occasione della recente presentazione della sua candidatura al parlamento europeo: l’Ue o cambia o rischia di saltare. E con il linguaggio diretto che lo contraddistingue, ha richiamato come monito per l’Europa il detto secondo cui in geopolitica chi non è seduto al tavolo, finisce nel menù.
Allora, il compito che si pone per tutte le forze che stanno concorrendo alla formazione della lista Il Centro, tra cui Popolari Uniti – Tempi Nuovi, credo sia quello di saper passare dai suddetti slogan, usati da Renzi, a una diversa narrazione, capace di parlare ai vari strati sociali, (specialmente a quelli medio-bassi, che più sperimentano il declino dell’Europa), incentrata sulla necessità di una nuova strategia per l’Europa, di un suo nuovo modo di porsi al suo interno e nei confronti del mondo, nella consapevolezza che i principali fattori che hanno permesso i livelli di benessere degli scorsi decenni stanno venendo meno e che serve mettere in campo un’iniziativa adeguata in questo passaggio storico, per definire le condizioni di una possibile nuova fase di sviluppo.