Laicità e umanesimo: via l’attributo “cattolico” dal dizionario della politica.

Sotto forma di “umanesimo nuovo” anche gli aspetti dottrinali e regolamentari della Chiesa potranno essere colti da tutti con animo più disponibile e, quindi, senza integralismi, fondamentalismi e settarismi vari.

Di fronte alla devastazione culturale e politica alla quale da anni stiamo assistendo senza mai aver trovato modo di reagire con qualche efficacia, domando agli scrittori e ai lettori riuniti attorno al blog de “Il Domani d’Italia”, perché ci ostiniamo a usare l’espressione “cattolici democratici” come se questa indichi ancora una identità precisa e riconoscibile.

Si preferisce dire “cattolici democratici” per non dirsi più semplicemente “democratici cristiani”, che poi è un perfetto sinonimo, solo che riesumando il primo dagli archivi del Novecento s’intende di fatto attutire lo scomodo ricordo della Democrazia Cristiana. Anche se già nella prima metà degli anni ’70 nei tentativi di ripresa dell’attività politico-partitica nell’università (di Roma), gli attivisti del Pci preferivano chiamarci “cattolici democratici” e non “democristiani”. Una pretesa ancora attuale, anche un po’ arrogante, di una sinistra generica alla quale corrisponde una certa accondiscendente e minimalista debolezza dei nostri amici e tante volte di noi stessi.

Ma il punto vero sul quale aprire una riflessione è un altro e cioè: cosa significa dirsi “cattolico” nella società e in politica? 

La domanda è una sola, ma le risposte sono una costellazione intera. Provo ad elencarne qualcuna anche se a qualcuno sembrerà banale: cattolici sono quelli che vanno a messa la domenica e nelle feste comandate? Sono quelli che si confessano almeno una volta all’anno e si comunicano almeno a Pasqua? Cattolici sono quelli che ubbidiscono al Papa e ai vescovi? Cattolici sono quelli attivi in Parrocchia e nelle articolazioni associative ecclesiali? Cattolici sono quelli che si dedicano al volontariato? Cattolici sono quelli che educano cristianamente i propri figli e che li seguono nel percorso catechistico? Cattolici sono quelli che rispettano i precetti della Chiesa anche nelle opere dirette di carità? Cattolici sono quelli che non temono di dichiararsi tali anche quando la loro testimonianza di fede potrebbe nuocergli sul lavoro, o nella pubblica reputazione? Cattolico è chi si informa sulla Dottrina Sociale Cristiana? L’elenco potrebbe continuare con tanti altri esempi, ma già questi sono sufficienti per capire che dirsi cattolici, purtroppo, non basta più a definire una persona; tanto più in politica.

Insomma l’attributo cattolico, a meno di un uso opportunistico, esige risposte coerenti e chiare. Ma – ahinoi! – raramente troviamo risposte univoche e unificanti. Nella maggior parte dei casi invece le risposte sempre diverse (e spesso divaricanti) ci raccontano l’immagine e la storia di un popolo “disperso” nella burrasca non finita del cambiamento epocale che stiamo vivendo. Una società frantumata (“liquida” secondo la felice definizione di Bauman) nella quale anche la più semplice ricomposizione appare problematica e non realizzabile. Neppure – per restare agli esempi – tra coloro che sono presenti ad una stessa cerimonia eucaristica.

Su queste basi è impossibile costruire qualsiasi credibile ipotesi di organizzazione politica. L’attributo “cattolico” va espunto dal dizionario della politica a meno che non si vogliano creare ulteriori lacerazioni oltre alle numerose che già tormentano la cristianità attuale. Da questo primo indice di problemi sull’uso dei termini “cattolico” e “cristiani” in politica possono scaturire alcune prime piste di impegno. La prima può essere quella di estrarre dall’esperienza ecclesiale delle parrocchie, associative e di comunità gli elementi fondamentali per una proposta culturale dialogante e ad ampio spettro nella quale i credenti e i simpatizzanti con la dimensione cristiana possano conoscersi e riconoscersi nella figura di un umanesimo globale. Obbiettivo non impossibile considerando l’enorme massa critica (università, accademie, editrici, studiosi e ricercatori) attiva e variamente impegnata nei confini globali della Chiesa.

Sotto forma di “umanesimo nuovo” anche gli aspetti dottrinali e regolamentari della Chiesa potranno essere colti da tutti con animo più disponibile e, quindi, senza integralismi, fondamentalismi e settarismi vari. Un umanesimo fondato sull’idea della sostanziale libertà dell’uomo e quindi sulla realtà di una opinione pubblica nella Chiesa che sostituisca le dinamiche di autoritarismi gerarchici del tutto anacronistici. Insomma sentirsi più liberi e sollevati dai troppi vincoli dell’obbedienza. Operazione attraente, ma non facile se ricordiamo in quale modo è finito quel “progetto culturale” della Chiesa italiana naufragato purtroppo nel nulla.

Concludendo i cattolici, al pari degli altri uomini, staranno in politica (ove sia loro richiesto) come singoli, “uti singuli” e “boni viri” con fede nella libertà e nella grande elaborazione culturale (studi ed esperienze) vissuta e proposta nella cristianità. I “cattolici democratici” così non saranno formazione politica o partito, ma singole persone impegnate per il bene comune. Solo così si potrà ripartire.

E per il o un partito? Sì, un’idea ce l’ho: l’Unione Popolare.