È sempre più forte la sensazione che si avverte in larga parte dell’opinione pubblica del travalicamento da parte di esponenti della maggioranza, in particolare delle due destre FdI e Lega, di quei limiti fisiologici ed etici volti a presidiare la nostra architettura costituzionale da tentazioni autarchiche del sistema politico-istituzionale, oggi dominato da una classe dirigente inadatta a ruoli e compiti di rappresentanza istituzionale.
Ad essa si associa la diffusa preoccupazione per il propagarsi di intrecci corruttivi – pur nel riconoscimento ad personam del principio della presunzione di innocenza – sufficienti a evidenziare un inquietante stato di degrado della nostra etica pubblica, con tutti i rischi che la frequenza di abusi e arbitri non finiscano per indebolire prestigio ed autorevolezza delle istituzioni, al contempo esposte ad un disegno ideologico di occupazione del potere e collateralmente della Rai, che da presidio dell’informazione pubblica e del pluralismo è diventata uno strumento, a reti unificate, di propaganda politica di questo governo.
Persino l’ex presidente della Consulta, e già presidente del consiglio, Giuliano Amato, non è stato tenero, in una recente intervista, sul pericolo emergente di insidiosi segnali di deriva autocratica, intravedendo i sintomi di uno sbriciolamento della democrazia di cui l’astensionismo, giunto alla preoccupante soglia del cinquanta per cento, ne è l’effetto più evidente.
Così non si contano più i segnali di un affievolimento etico della condotta di tanti rappresentanti delle istituzioni, tanto sono ormai gli episodi dove a farla da padrone c’è una costante arroganza del potere e l’esibizione della più disinvolta impudenza.
Dalla tragedia, a ridosso della spiaggia, di Cutro, con circa ottanta migranti morti, tra cui tanti bambini e donne, e tanti dispersi; al caso Cospito, ove certe notizie riservate sono transitate tranquillamente in mani estranee e utilizzate come una clava per attaccare avversari politici sulla base di teoremi spregiudicati e senza fondamento; al caso Lollobrigida, che usa i treni come taxi, ottenendo un trattamento speciale non previsto per i comuni passeggeri, e propalando come giustificazione che chiunque potrebbe chiedere e ottenere di far fermare un treno anche a una stazione non prevista nel suo percorso tabellare, fosse pure un treno ad alta velocità, con una semplice richiesta al capotreno; all’ultimo tragico episodio del deputato di FdI, Pozzolo, che va in tarda notte al cenone di fine anno facendo mostra di un piccolo revolver da cui inopinatamente (è tutto ancora sotto accertamento giudiziario) parte un colpo e ferisce un giovane, parente di un uomo della scorta del sottosegretario Del Mastro.
Questi sono solo alcuni dei casi eclatanti, da quando si è insediato il governo Meloni, che ne costellano il firmamento con mirabili imprese politico-istituzionale di cui si sono resi protagonisti tanti campioni del guasconismo di questa destra eccentrica e trumpiana, anzi di queste due destre, FdI e Lega, che si rincorrono a vicenda come fosse una competizione a chi la fa più grossa.
Il messaggio che passa attraverso queste disinvolte imprese non è certo dei più rassicuranti, trattandosi di azioni messe in atto, nella gran parte di esse, nell’esercizio di attività istituzionali.
È di ieri un preoccupante Comunicato di Libertà e giustizia dove tra l’altro di legge: “Un connubio opaco fra affari e politica, un uso di risorse pubbliche impiegate per ampliare il consenso, una normalizzazione di legami familiari e amicali nelle funzioni pubbliche, sono modelli negativi che contrastano con l’interesse generale e il governo della legge. Mai come in questi mesi si è palesato il nesso perverso tra aggressioni alla magistratura, volte ad intimidire il corpo dei magistrati e uso familistico e fazioso delle istituzioni, e si è resa evidente, al contrario, l’importanza strutturale dell’equilibrio dei poteri, dell’indipendenza degli organi di controllo e di un’informazione libera da bavagli che sia garanzia di trasparenza per i cittadini”.
Si spiega allora l’inatteso attacco alla magistratura da parte di uno dei suoi più autorevoli esponenti del governo, il ministro Crosetto, notoriamente persona pacata e seria.
C’è evidentemente la consapevolezza di un parterre di rappresentanti della maggioranza, difficilmente controllabile e imprevedibile, trattandosi di una classe dirigente, in buona parte improvvisata, che, come in una commedia dell’arte, opera sopra le righe travalicando prima ancora che, come in qualche caso, i limiti penali, quei confini etici il cui rispetto deve contraddistinguere l’azione politica di ogni persona.
Ancora più grave è il fatto che in tale contingenza politica, questa maggioranza sembra avere campo aperto, per la palese inefficacia ed inconcludenza delle due forze di opposizione (Pd e 5 Stelle) che non riescono ad incardinare un’azione politica di contrasto forte e al contempo propositiva, incapaci di rappresentare le aspettative di tanta parte del paese nel chiaro obiettivo di una mediazione politica idonea a non lasciare senza tutele aree del paese e ceti sociali chiamati, ancora una volta, invece, a pagare il prezzo di politiche sbilanciate, fondate su una progettualità che esalta il fai da te, in perfetto stile ultraliberista, senza alcun raccordo con una visione compartecipativa e solidarista tra i diversi ceti sociali.
Del resto, l’invito e la glorificazione che si è fatta di Elon Musk durante la kermesse di Atreju non è stato altro che un chiaro messaggio all’esaltazione dell’ultra individualismo post moderno di cui ne sono mentori Elon Musk e la ristretta élite di paperoni con patrimoni incommensurabili.
Insomma una rappresentazione da “superuomo” che non piacerebbe nemmeno a Nietzsche, autore di questo archetipo nichilista, nel contestuale groviglio con il manifesto propagandistico: Dio, patria e famiglia; e insieme nella teatrale esaltazione dello spirito dionisiaco, che alimentandosi dentro un vitalismo senza freni, si percepisce nella volontà di potenza, libero dalla morale, e in questo contesto trova la sua affermazione.
Inoltre, le performance esibite in occasione degli incontri canonici con la stampa, sono state all’insegna di sermoni, invettive, gossip e vittimismo.
Un quadro inquietante e fortemente insidioso per il futuro del paese che nella conclamata fragilità di una inconcludente opposizione, tra velleitarismo radicale, massimalismo progettuale e qualunquismo demagogico e populista – come può dirsi diversamente il voto favorevole dei 5 Stelle alla linea della maggioranza che ha bocciato la ratifica del Mes? – sembra non cogliere tutti i pericoli di un lucido disegno teso ad una sfrontata anticipazione del vagheggiato accentramento dei poteri in capo alla presidente del consiglio. E ciò secondo le linee del progetto di legge di riforma costituzionale ad opera del governo, rendendo intanto ordinario, nonostante gli annosi richiami della Consulta e le recenti sottolineature del Capo dello Stato, l’uso della decretazione d’urgenza, e quindi imponendo tempi strettissimi al dibattito parlamentare. Da qui l’aggravante di mettere la sordina ai parlamentari della sua maggioranza, mentre non c’è istituzione di garanzia, dalla Presidenza della Repubblica alla Consulta, che non sia stata messa sotto assedio.
Tanta insidia non può farci restare inerti. Occorre creare le giuste premesse per una riaggregazione dell’area cattolico democratica e popolare.
Ma, lo stato delle cose non rende più sufficiente questo processo aggregativo se ad esso non si accompagna, nel contempo, una contestuale iniziativa tesa a mettere in campo una coalizione di centro attraverso un’alleanza con i partiti che gravitano in quest’area, espressione delle culture liberali, riformiste e repubblicane.
E la sfida è talmente epocale che impone la convergenza di tutte quelle culture politiche che seppero trovare virtuosa intesa per dare all’Italia, devastata da una guerra brutale e fratricida, una Carta costituzionale dall’evidente ed innegabile impronta antifascista. Una Carta improntata a sapiente tutela dei diritti fondamentali, capace perciò di essere linfa per un futuro di sviluppo e di progresso nella democrazia.
Occorre allora uno sforzo comune nel saper cogliere l’irripetibile occasione che, nello scorrere vorticoso di eventi, tanto rapidi quanto imprevedibili e funzionali, come risulta essere il recente posizionamento di Tajani e di Forza Italia, al lucido disegno ideologico di queste due destre – in competizione mediante metodi ora guasconi, ora spregiudicati – ci offre il presente vuoto politico, restituendo rappresentanza solida e credibile ad un centro rissoso e finora percepito come poco affidabile da un elettorato attento.
Occorre riportare in quello spazio politico tutta la potenzialità del patrimonio culturale, politico e istituzionale di cui da tempo parte del paese avverte la mancanza, pagandone le conseguenze in termini di forte depauperamento sociale ed etico e con tutti i suoi riverberi nei modelli quotidiani di qualità della vita politica, sociale e comunitaria.
Se vogliamo salvare il paese dai minacciosi disegni autocratici che sta perseguendo questo esecutivo, non abbiamo che da accelerare le occasioni di confronto, sia con le diverse componenti culturali tutte riconducibili all’area cattolico popolare, sia con le forze in questo momento presenti in parlamento, distanti sia dall’attuale maggioranza di governo che dall’opposizione inconcludente, principalmente di Pd e 5 Stelle.
La prima sfida cui siamo chiamati è a pochi mesi di distanza e si tratta del rinnovo del Parlamento europeo: competizione importante e cruciale per le ambizioni di una nuova e più dinamica identità dell’organismo rappresentativo sovranazionale europeo.
Sicuramente è la migliore occasione per concordare un’alleanza tra le tre aree culturali titolate a rappresentare l’area di centro del sistema politico ed al contempo quale migliore opportunità per contribuire a bilanciare in prospettiva il disequilibrio del nostro sistema politico, complice il trentennale modello maggioritario su cui si sono conformate le leggi elettorali che si sono succedute, trasferendo nel concreto in capo ai leader di partito la sovranità popolare. E questo grazie ad un meccanismo che consentendo di prefigurare anticipatamente la possibile schiera di parlamentari, permette a chi ha in mano il partito un diritto di nomina, collocando in successione le candidature ritenute più fedeli alla sua linea.
C’è dunque un dovere da parte di tutte queste forze politiche che hanno contiguità in molti punti programmatici e, soprattutto, nel fatto d’identificarsi appieno nell’impianto costituzionale antifascista e antitotalitario, ad agire, superando ogni vecchia logica di ripicche personali, di personalismi o di pretese autoreferenziali. È tempo di costruire un’alleanza che, fuori da ogni velleitarismo, potrebbe trovare nella concretezza di una lista che espliciti palesemente la propria vocazione in difesa della Carta costituzionale, l’identità centrista e pluralista contro ogni tentativo teso a stravolgere e demolire l’impianto virtuoso del nostro assetto istituzionale, con tanto di pesi e contrappesi.
Scelta che non solo darebbe un chiaro segnale di compattezza e di credibilità politica nel segno di una conclamata difesa della Costituzione e dei suoi principi fondanti, ma anticiperebbe l’eco di un progetto di governance dell’Ue facendo argine al tentativo di spostamento dell’asse di governo dell’Unione da parte dei partiti di destra (che inizialmente aveva trovato una favorevole sponda anche nel presidente del Ppe, Manfred Weber) le cui politiche anti migratorie e sovraniste, già predittive in campo nazionale – emblematicamente rappresentate dalle misure autoritarie di V. Orban, in Ungheria, ablative dello stato di diritto di quel paese, (per fortuna la Polonia è riuscita a divincolarsi da un nuovo governo autocratico) – finirebbero per creare le condizioni per una rapida destrutturazione del processo di integrazione. Tutto ciò mentre l’europeismo volge verso una logica di rafforzamento e di ricerca di una maggiore autorevolezza dell’Unione, unico antidoto contro le politiche divisive di cui sono foriere sovranismo e populismo.
In questo scenario serve avere tra le forze di area democristiana e popolare dei negoziatori autorevoli, ossia senza background o profili precedenti poco sovrapponibili o in antitesi con la cultura cattolico popolare. In effetti, quando manchino di autorevolezza, è fatale che i negoziatori rendano poco plausibile una rappresentanza politicamente affidabile e non scevra da intima diffidenza, con riferimento agli impegni da assumere e agli obiettivi da raggiungere.
Esigenza che a maggior ragione si pretende da parte di chi ne incarna al momento la rappresentanza di quel patrimonio di valori e di principi, che furono pietra miliare della Democrazia Cristiana, in questo processo confederativo con cui si propone di offrire, attraverso una sapiente mediazione con le culture delle altre forze politiche affini, la migliore sintesi programmatico-progettuale tesa a costruire una coalizione di centro.