L’anarchia della sovranità e la nascita del cittadino europeo

«L'Europa…sempre più di fronte al tragico dilemma: o unirsi o perire». Pubblicato nel 1936 sull’Osservatore Romano, l’articolo di Gonella offre spunti di riflessione sul passato e il futuro del Vecchio Continente.

La solidarietà d’Europa è veramente diventata una crudele ironia?

Questo è l’interrogativo che si pone Nicola Politis nell’ultimo numero di L’Esprit international. Il sottile giurista greco, attualmente ministro a Parigi, prendendo in esame il problema etico-storico della solidarietà europea fa alcune considerazioni che meritano di essere sottolineate perché colgono alcuni aspetti dell’attuale crisi politica.

L’Europa, appendice del continente asiatico è, secondo la definizione di Paul Valéry, la parte più preziosa dell’uni-verso, la perla della sfera, il cervello di un vasto corpo. Quali sono le ragioni che rendono permanentemente critica la sua condizione? Si è parlato di una incipiente concorrenza di altre razze, e Lothorp Stoddart per caratterizzare questo fenomeno universale ha trovato la seguente formula: «marea montante dei popoli di colore». Ma questa eventualmente è una causa esteriore ancora non sensibile, e tutt’altro che decisiva. Bisogna trovare le cause interne della malattia.

Politis ne elenca alcune fondamentali: divisioni profonde, sospetti odiosi, ambizioni arroganti, estensione degli armamenti in un nuovo regno (l’aria), legalità divenuta fragile, anemia e sclerosi dei rapporti fra gli Stati, barriere doganali di 26 Stati, ecc. Se vi è una solidarietà davanti al pericolo della catastrofe, tale solidarietà scompare subito non appena si cerchino i mezzi per allontanare la catastrofe.

La storia ha insegnamenti molto eloquenti. L’Impero romano ha garantito al mondo una lunga pace perché la sua pace era il risultato di un ordine. Anche il Politis riconosce che «il principio spirituale della Chiesa ha dato all’Europa il sentimento dell’unità e della solidarietà e durante il medioevo vi è stata un’organizzazione europea». Le crociate hanno unito l’Europa contro l’Islam.

Le scoperte geografiche cominciano a minare l’unità dello spirito europeo la quale va in rovina con la Riforma e la Rinascenza. La Riforma che, secondo quanto il Politis si dimentica di dire, fonda lo statualismo, padre del nazionalismo: la Rinascenza che restaura lo spirito statale pagano.

Il Politis non accenna neppure alla Rivoluzione francese ma, analizzando il nostro tempo, colpisce una delle più infelici creature dell’illuminismo: l’anarchia della sovranità. Cioè gli Stati europei, già divisi per religione, lingua e costumi divengono anche nemici causa un principio di sovranità che non accetta limitazioni.

La sicurezza d’Europa è, secondo una felice difinizione del Politis, una «funzione permanente che cerca un organo» in quanto la supremazia della collettività non è riuscita ad affermarsi contro le egemonie particolari. Però, rifiutando sia l’unità romana che l’unità cristiana, al Politis non resta che una vaga idea di «equilibrio» il quale ha un senso solo se presuppone la reale unità politica (per es. del romanesimo) o la reale unità religiosa del cattolicesimo. Anche Nietzsche parla dell’«Europa dell’avvenire» ma sono frasi che appartengono ad una rettorica utopistica.

Si può ritenere, come ritiene il Politis che la guerra abbia arrestato nel 1914 un già sviluppato movimento verso l’affermazione della solidarietà europea? O non è stata invece proprio la guerra che, mettendo a nudo la povertà morale della nostra civiltà politica, ha finito coll’avvicinare i popoli europei? La Società delle Nazioni, pur essendo come dice il Politis «insufficiente ad assicurare da sola la sicurezza in Europa», è sorta dalla guerra, tanto è vero che dalle sue origini belliche (trattato di Versailles) porta le stigmate, Malgrado tutte le possibili crisi istituzionali che allontanano sempre più il giorno della «nascita del cittadino europeo» la Lega continua ad essere più che un fatto definitivo una idea-forza.

Ma vi sono dei fatti positivi, ed è questa la parte più evidente delle considerazioni del Politis, i quali, malgrado tutte le delusioni degli ultimi anni, fanno ritenere possibile un progresso. La corsa agli armamenti da intensa si trasforma in «frenetica» e non potrà non apparire fra breve in tutta la sua spaventosa e spettrale realtà. In secondo luogo l’aviazione militare ha rivelato all’Inghilterra che essa ha cessato, dal punto di vista della sicurezza, di essere un’isola garantita da ogni aggressione in virtù della cintura d’acciaio della sua flotta. Baldwin ha detto che le frontiere della Gran Bretagna sono sul Reno.

L’Europa si troverebbe sempre più di fronte al tragico dilemma: o unirsi o perire. Per unirsi deve organizzare la pace attraverso varie iniziative fra le quali quella suggerita da Politis non appare, almeno per ora, la più realizzabile.

«La tendenza – egli scrive trattando di armamenti – deve essere non di abolire la forza ma di denazionalizzarla. L’esercizio può restare nazionale ma il giudizio che lo precede e l’autorizza deve essere collettivo».

Sempre più emergente appare oggi in Europa il contrasto fra le nazioni conservatrici e le progressiste, fra quelle che tendono alla stasi e quelle che vogliono il moto. Questo contrasto è gravissimo perché è fondato nelle esigenze di fatto, nella realtà dell’aver troppo da una parte e dell’aver troppo poco dall’altra, e pone sul tappeto tutto il fondamentale problema della distribuzione di beni, dell’equilibrio economico inteso quale presupposto indeclinabile dell’equilibrio politico.

Ogni guerra, osserva il Politis da buon giurista, non è assimilabile semplicemente ad un crimine poiché ha piuttosto la fisionomia di una rivoluzione; e per prevenire una rivoluzione il Codice penale, per quanto comporti pene preventive e repressive, non basta. È necessario invece organizzare la vita sociale in modo tale che le leggi universali dell’ordine non urtino contro le condizioni di fatto ma ad esse si adattino.

Fonte – G. Gonella, La solidarietà europea, “L’Osservatore Romano”, 7 maggio 1936.