L’Etiopia, Paese BRICS, cerca lo sbocco al mare: è crisi con la Somalia

Ora va ridotta la tensione in un quadrante come quello del Corno d'Africa già afflitto da molteplici conflitti e al centro di interessi globali per la sua posizione strategica per le rotte commerciali da cui dipende anche l'Europa.

Lo scorso primo gennaio, l’Etiopia nello stesso giorno in cui ha ufficialmente iniziato la sua avventura nel gruppo dei BRICS, ha stipulato un accordo con il Somaliland per ritrovare l’accesso al mare, a cui ha dovuto rinunciare dal 1993 in seguito all’indipendenza dell’Eritrea.

Il memorandum d’intesa sottoscritto lunedì ad Addis Abeba dal premier etiope Abiy Ahmed e dal presidente dell’autoproclamata repubblica del Somaliland Muse Bihi Abdif, mira a consentire all’Etiopia di utilizzare uno specchio di mare di 20 chilometri quadrati di acque costiere del Somaliland, tramite la concessione dello strategico porto di Berbera, situato nel Golfo di Aden, che dà l’accesso sia al Mar Rosso che all’Oceano Indiano da cui passano le rotte commerciali con l’Asia.

“Il passo dell’Etiopia mette in pericolo la stabilità e la pace della regione”. Così recita il comunicato emesso dopo una riunione di emergenza del governo somalo. Com’era prevedibile, non si è fatta attendere la reazione di protesta della Somalia che considera il Somaliland, che coincide con l’ex Somalia britannica, territorio dello stato somalo indivisibile, e pertanto ritiene nullo l’accordo siglato a Capodanno. Il Somaliland infatti non è riconosciuto dall’Onu né da alcun stato ad eccezione di Taiwan, fattore di ulteriore complicazione visti gli interessi cinesi nel Corno d’Africa.

L’accordo fra Addis Abeba e Hargheisa (la capitale del Somaliland) rischia anche di compromettere i colloqui fra la Somalia e il Somaliland che entrambe le parti avevano deciso di riprendere per trovare una soluzione alla divisione, appena la settimana scorsa, in seguito al ruolo di mediazione esercitato da Gibuti. Proprio da Gibuti, Paese cruciale per il commercio mondiale perché affacciato sullo stretto di Bab el Mandeb che consente l’accesso al Mar Rosso, passa ben il 90% del traffico commerciale per un Paese di oltre 120 milioni di abitanti qual è l’Etiopia. Ed è stata la Cina a realizzare nello scorso decennio un salto di qualità infrastrutturale, modernizzando e potenziando la linea ferroviaria Gibuti-Addis Abeba dopo che era fallito un piano per l’ammodernamento finanziato dall’Ue nei primi anni duemila.

Dunque, il collegamento marittimo per l’Etiopia costituisce un problema oggettivo che la Comunità internazionale non può non riconoscere soprattutto dopo che i Paesi vicini, Eritrea, Somalia e Gibuti, hanno di recente ribadito ad Addis Abeba la loro indisponibilità a discutere della questione.

Problema che l’Etiopia sta tentando di risolvere attraverso un accordo con il Somaliland, pur mostrando cautela circa il riconoscimento etiope di questa entità secessionista, per non fare aumentare ulteriormente la tensione con la Somalia in un quadrante come quello del Corno d’Africa già afflitto da molteplici conflitti e al centro di interessi globali per la sua posizione strategica sia dal punto di vista geopolitico che da quello del commercio fra Asia ed Europa.

Ora tocca alla Igad, l’organizzazione regionale nel Corno d’Africa, all’Unione Africana, all’Onu cercare di disinnescare questa nuova crisi, evitando che possa degenerare in una nuova guerra. L’Etiopia negli ultimi anni ha già dato prova di responsabilità nella sua controversia con l’Egitto, ora suo partner nei BRICS, per l’utilizzo dell’acqua del Nilo. Nel braccio di ferro che sembra profilarsi in occasioni come queste fra chi fomenta le contrapposizioni pensando di trarne vantaggio, e chi cerca di ricomporre i tasselli della ragionevolezza, ogni soggetto che opera sulla scena globale, Unione Europea compresa, è chiamato a fare la propria parte per la ricerca di una soluzione equa che assicuri pace e stabilità.