L’Europa non è condannata al declino. Quale può essere il ruolo dei cristiani?

L’Europa è stata la culla dell’umanesimo e ne ha sviluppato le premesse nel corso di diversi secoli. Ora bisogna guardare al futuro, quindi a una nuova forma di umanesimo.

L’Europa sarà in grado di irradiare nel mondo la forza di un nuovo umanesimo, ponendosi come luogo di umanizzazione della vita civile, dell’economia, del lavoro? Riuscirà ad essere al centro, con i suoi valori e dunque con le sue scelte, di una globalizzazione in senso veramente più umano? Saprà indicare il modo con il quale coniugare il progresso con la dignità delle persone, specie laddove la tecnoscienza fa intravedere i rischi di inedite manipolazioni dell’umano? Sono spunti afferenti, tutti insieme, a un grande interrogativo da prendere in seria considerazione. Siamo di fronte a una sfida che mette in gioco il nostro destino di singole nazioni, ognuna delle quali – ma l’Italia in modo particolare – ha contribuito alla formazione dell’Europa nel corso di molti secoli e pertanto, fino a ieri, dell’occidente in quanto tale.

L’Europa dell’umanesimo, affiorante già nel XII secolo, era la rigogliosa espressione della cristianità. Europa e cristianesimo s’identificavano. Dopo la rivoluzione francese e dopo la rivoluzione industriale si ruppe definitivamente questa connessione. Jacques Maritain, che ricordiamo a 50 anni dalla morte, riconobbe la fine di un lungo ciclo storico e propose nel cuore del Novecento di pensare a quello che egli volle definire, con il titolo della sua opera più nota, un nuovo “Umanesimo integrale”. Questa suggestione rimane ancora valida nei suoi motivi essenziali, sebbene esiga una profonda e incisiva rivisitazione alla luce dei cambiamenti intervenuti.

Oggi l’Europa vede drasticamente ridotta l’incidenza del cristianesimo. Le diverse confessioni, mettendo insieme cattolici e protestanti, registrano una caduta verticale delle pratiche religiose tradizionali. Solo una minoranza, per altro assai ristretta, partecipa alla messa domenicale o altri riti liturgici: il fenomeno rivela la dimensione di massa di un agnosticismo apparentemente senza alcuna problematicità. È un costume, non una inquietudine. Per questo la politica fatica a recuperare il filo di una comunicazione improntata a valori condivisi. In sostanza, quali sono questi valori?

La laicità, sull’esempio francese, costituisce una condizone o una regola collettiva. Anche in questo caso si verifica una cambiamento di fondo: una volta, a partire dal secondo Ottocento e per tutto il Novecento, la laicità era la identificazione di uno spazio pubblico neutro (lo Stato e le sue articolazioni) rispetto al potere invasivo della Chiesa (non solo quella cattolica); oggi, viceversa, la valenza inaspettata della laicità consiste nel “salvare” la tradizione cristiana dall’irruzione dell’integralismo islamico (a prescindere dai risvolti più violenti). Avviene, insomma, che la laicità serva a impedire che i costumi dell’Islam prevarichino sul “residuo civile” della cristianità. Vietiamo il velo per le donne perché così, proprio in nome della laicità, vietiamo anche la rappresentazione plastica di quanto possa essere più larga e diffusa una pratica religiosa diversa da quella cristiana (vissuta paradossalmente come ancora di salvataggio, anche riguardo al pericolo per lo straniero).

Tuttavia il discorso sull’umanesimo nasconde una verità che guadagna spazio e attenzione. È come se la molla fosse stata compressa fino al suo estremo e ora torni a distendersi, lentamente; non perché torni, all’improvviso, una “forma cristiana” di Europa, ma perché la pressione esercitata dall’Islam (anche occidentalizzato) impone la riassunzione di una propria “esigenza di identità”. Ecco, quel è o quale può essere, giunti a questo punto, la nostra identità di europei? Non dobbiamo lasciar passare l’idea che la risposta più efficace stia nella difesa di qualche simbolo, sia pure importante (come il Natale). Non abbiamo speranze se accettiamo questo svilimento della Speranza cristiana, adattandola a nuovo “instrumentum regni”; né l’abbiamo se, come logica conseguenza, rendiamo puramente decorativo – senza forza d’ irradiazione sulla vita delle persone e dei popoli – il messaggio dell’umanesimo.

Un grande europeista, Alcide De Gasperi, anche quando si poteva immaginare che l’Europa fosse l’Europa dei cristiani, proclamava la necessità di tenere insieme le culture che avevano una comune radice democratica. Per questo invitava alla collaborazione i partiti di ispirazione cristiana, socialista e liberale, perché solo da questa collaborazione poteva nascere un europeismo foriero di capacità attrattiva per il mondo intero. Senza distinguere, per giunta, l’Europa del nord dall’Europa del Mediterraneo, perché, come spiegava bene Aldo Moro, “l’Europa intera è nel Mediterraneo”. Questa consapevolezza deve spingere in avanti l’Europa, contro ogni falsa profezia che ne celebra il declino irreversibile.

Abbiamo fiducia nei nostri ideali, un nuovo umanesimo può ripartire dall’Europa.

 

 

Testo base dell’intervento svolto ieri da Giuseppe Fioroni ad Assisi nel corso della prima seduta della tre giorni di riflessione organizzata da “Cristiani in cammino. Per un nuovo umanesimo”.