Non c’è alcun dubbio che esiste nel nostro paese una nuova, e persistente, “questione sociale”. Una “questione sociale”, come quasi sempre capita, che rischia di trasformarsi rapidamente in una questione di ordine pubblico. E, come da copione, le prime avvisaglie si sono già manifestate e non solo a Napoli e a Palermo. I tasselli principali, e più mediatici, su cui viene richiamata la maggior attenzione sono da un lato l’azzeramento del reddito e di cittadinanza e, dall’altro, la misura dei super bonus. Due misure che non hanno nulla a che vedere con la crescita, l’occupazione, lo sviluppo, l’equità sociale e il contrasto alla povertà ma solo e soltanto con la riaffermazione di una concezione selvaggiamente assistenziale e pauperista. Di norma, si tratta di escamotage legislativi e scelte politiche che rispondono ad una precisa strategia: ovvero, la piena affermazione del populismo antipolitico, demagogico e qualunquista. E, non a caso, si tratta di scelte patrocinate, pianificate e gestite dal partito leader del populismo anti politico per eccellenza: il partito di Grillo e di Conte.
Ora, il nodo politico di fondo non è quello di continuare a polemizzare con i populisti o con tutti coloro che hanno una concezione estremista e massimalista della politica. E, purtroppo, con chi teorizza la strategia politica del “tanto peggio tanto meglio”, come è platealmente evidente dalle ultime dichiarazioni di Conte e della Schlein. Semmai, e al contrario, si tratta di capire come è possibile affrontare seriamente e costruttivamente i temi – veri e tangibili – che emergono dalla società e che noi riassumiamo con il termine di “questione sociale”. E, traendo spunto dalla miglior tradizione del cattolicesimo sociale italiano e dalla cifra riformista che la caratterizzava – basti pensare alla cinquantennale esperienza della sinistra sociale di ispirazione cristiana della Dc – occorre far sì che il “dato sociale” diventi un elemento strutturale della stessa iniziativa politica.
La politica sociale, cioè, non può e non deve diventare un elemento secondario o un semplice orpello del progetto politico complessivo di un partito o di uno schieramento ma un asset centrale delle stesse politiche di sviluppo e di crescita di un paese. Perché l’alternativa a questo metodo e a questa impostazione politica è una sola: ed è quella praticata dai populisti da un lato e dai liberisti dall’altro. Ovvero, ridurre la “questione sociale” ad un fatto meramente e brutalmente assistenziale con tanti saluti a qualsiasi logica di sviluppo e di crescita complessiva di un paese. Perché se dovesse prevalere questa concezione e questa deriva inesorabilmente si trasformerebbe lo Stato in un ente di beneficenza e di assistenza per molti, se non per tutti i settori della società.
Una prassi radicalmente e strutturalmente antipolitica che unisce la logica “del tanto peggio tanto meglio” con la strategia della “mancia” generale ed indistinta. La strategia riformista, seppur attenta e vigile attorno ai temi che pone una rinnovata “questione sociale”, è esattamente l’opposto. E quindi, da un lato l’assistenzialismo e il pauperismo e, dall’altro, la crescita e lo sviluppo. O meglio ancora, da un lato le mance e i sussidi e, dall’altro, politiche concrete e mirate che riducono le sacche di povertà e contribuiscono, al contempo, a far partecipare anche e soprattutto i ceti popolari e meno abbienti alla crescita complessiva del sistema paese.
In ultimo, e per riassumere, in un campo i riformisti e nell’altro campo i populismi, in tutte le sfumature con cui si manifesta. Ecco perché i populisti quando governano creano disastri e generano le premesse per una progressiva ed irreversibile bancarotta dello Stato. Tocca, però, anche ai cattolici popolari e sociali farsi carico di una proposta politica che recuperi sino in fondo la cifra riformista e, soprattutto, la capacità di saper riscoprire quella cultura e quello stile della ‘sinistra sociale’ del passato che su questo versante conservano una straordinaria modernità ed attualità.