L’onda lunga del populismo ha travolto anche le Province

Dopo la riforma Delrio, le Province risultano gravemente indebolite rispetto agli altri livelli di governo. I servizi essenziali sono stati penalizzati a seguito di interventi riduttivi su funzioni, personale e risorse.

Nel 2014 con la legge n. 56, nota come legge Delrio, il Parlamento ridimensionò le funzioni della Provincia e la sua rappresentanza democratica impedendo ai cittadini,  per la prima volta nella storia repubblicana, di eleggere il Presidente e i Consiglieri. Il legislatore preferì in alternativa un’elezione da parte dei Sindaci. Tentativi simili erano stati già compiuti nel 2011 dal governo Berlusconi e nel 2012 dal governo Monti nell’ottica della spending review; non ebbero però successo perché la Corte Costituzionale rilevò che tali provvedimenti erano incostituzionali essendola la Provincia un ente locale garantito dalla Costituzione. Sarebbe toccata la stessa sorte anche alla legge Delrio, cosa che non avvenne soltanto perché era in corso la procedura di riforma costituzionale del governo Renzi che prevedeva l’abolizione delle Province. Tale riforma fu però bocciata con il referendum del 2016 e nel 2021 la Corte Costituzionale è ritornata sul tema riaffermando le stesse osservazioni fatte ai provvedimenti Berlusconi/Monti. 

 

In questa lunga incertezza normativa le Province sono state svuotate nell’assetto istituzionale, nel ruolo e nelle competenze e indebolite nei rapporti tra i diversi livelli di governo. Ciò ha causato incertezze e criticità sul governo dei territori provinciali: gli interventi riduttivi su funzioni, personale e risorse hanno inciso negativamente sui servizi essenziali.  Oggi esistono 76 Province ordinarie e 10 Città metropolitane (Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia) che una volta si chiamavano Province, che da nove anni sono regolate da una legge transitoria e incostituzionale.

 

Questo breve excursus per evidenziare un’ostinata volontà dei governi che si sono succeduti per eliminare le Province.  Sono certo che i consulenti giuridici del governo abbiano spiegato ai Ministri che per raggiungere quell’ obiettivo fosse necessario modificare la Costituzione, come ripetutamente affermato dalla Corte Costituzionale. Ciò nonostante i governi hanno preferito, per debolezza o per convenienza, assumere provvedimenti che alla fine si sarebbero sicuramente scontrati con la Costituzione. C’è da chiedersene il perché. Le Province sono state le prime vittime sacrificali offerte al populismo crescente (che ha fatto la fortuna di non pochi leader) dando così ragione all’idea di fondo  secondo la quale “per il solo fatto di essere eletti in qualsiasi organo amministrativo o legislativo, locale o nazionale, i rappresentanti godano di privilegi eccessivi e siano per definizione corrotti e facilmente corruttibili”. Si è iniziato in questo modo ad alimentare la propaganda populista su altre istituzioni fino a quando l’anticasta si è fatta essa stessa ‘casta’ con la conseguente disaffezione degli elettori che negli anni si sono andati sempre  più riducendo .

 

Il populismo contro le Province è stato costruito su due fake news purtroppo non sempre verificate da autorevoli commentatori politici. La prima: un ente intermedio come le Province esiste solo in Italia. In realtà in tutti gli Stati europei con popolazione superiore ai 10 milioni di abitanti c’è un livello di governo intermedio simile alle Province italiane. Seconda fake: con l’abolizione delle Province ci sarebbe stato un risparmio straordinario della spesa pubblica.  Sembrava ad un tratto come se non fosse stato più necessario, ad esempio, occuparsi della manutenzione delle strade e delle scuole superiori; in realtà il trasferimento di funzioni dalle Province alle Regioni  e ad altri Enti ha provocato per la Corte dei Conti “una dispersione dell’esercizio delle funzioni in enti di ambito territoriale, enti strumentali o società e organismi partecipati, con sovrapposizione di competenze e ulteriori costi” (gennaio 2023).

 

Finalmente il Parlamento sta mettendo mano a una modifica della legge Delrio. Al Senato sono in discussione otto disegni di legge finalizzati a reintrodurre l’elezione diretta da parte dei cittadini del Presidente della Provincia, del Consiglio Provinciale, del Sindaco e del Consiglio Metropolitano, e l’indennità per gli amministratori provinciali e metropolitani.  Una scelta condivisibile perché, come ha evidenziato con efficacia la Corte dei Conti, attraverso “l’elezione diretta si ottiene una maggiore legittimazione degli enti di area vasta che rafforza la loro posizione nell’ambito di un sistema multilivello. Al tempo stesso gli organi di vertice, al pari dei sindaci o dei presidenti delle Regioni, sono chiamati a rendere conto delle azioni pubbliche nei confronti del corpo elettorale (accountability pubblica) ”.

 

La previsione del ritorno all’elezione diretta deve però essere necessariamente accompagnata dal rafforzamento delle funzioni fondamentali e dall’assegnazione di nuove funzioni affinché le Province diventino anche, come sostiene con lungimiranza l’Unione delle Province “istituzioni di semplificazione del governo locale per ricomporre a livello territoriale le funzioni di area vasta, con particolare attenzione alla gestione degli investimenti strategici, consolidando così anche il ruolo di supporto ai Comuni.  La Provincia dovrà cioè essere sempre di più  un ente che pianifica la strategia dello sviluppo del territorio, attraverso agende di sviluppo sostenibili a livello locale e che coordina le iniziative dei diversi attori pubblici e privati che operano nel territorio”. In sostanza Provincia e Città metropolitana avranno un futuro soltanto se saranno messe nella condizione di dare rappresentanza politica e risposte concrete alle esigenze dei Comuni delle aree interne e delle aree di mezzo a diffusa urbanizzazione, territori che sono oggi poco rappresentati e in gran parte esclusi dall’agenda politica nazionale. 

 

Antonio Saitta è stato Presidente della Provincia di Torino, Presidente nazionale dell’Upi (Unione delle Province Italiane) e assessore della Regione Piemonte.