Popolari in castigo secondo le pagelle di Carlo Calenda

Il leader azionista si sofferma sulle persone, sui singoli, sul profilo degli esponenti politici e, sulla base dei suoi giudizi e della sua valutazione, li licenzia o li assume.

Al di là delle polemiche, violente e aggressive, che hanno coinvolto l’ormai ex “terzo polo”, quello che incuriosisce sono i giudizi tranchant che il capo di Azione, Carlo Calenda, continua a distribuire a destra e a manca. L’ultimo della lista è l’amico Beppe Fioroni, storico esponente della cultura popolare che, per motivi misteriosi, pare non rientri nel genere “popolare” preferito e più gettonato dall’ex esponente di Scelta Civica.

 

Ora, al di fuori dei giudizi personali – che di per sè sono sempre sgradevoli e in politica addirittura singolari e grotteschi – quello che colpisce è che il capo di Azione continua ad individuare anche nei Popolari una cultura e una tradizione che dovrebbe contribuire a costruire il progetto del suo partito. È evidente a tutti, però, che il profilo politico e culturale di Calenda non solo è estraneo ed esterno ma è addirittura alternativo rispetto alla tradizione, alla cultura e al progetto politico, culturale e valoriale del popolarismo di ispirazione cristiana. Una cultura che mal si concilia, del resto, con l’approccio liberista, elitario e tendenzialmente aristocratico di Calenda.

Ma l’elemento che ancor più colpisce è che Calenda non prende in considerazione le culture politiche e i filoni ideali che possono essere, seppur coerentemente, funzionali al suo progetto politico. 

 

No, al contrario, Calenda si sofferma sulle persone, sui singoli, sul profilo degli esponenti politici e, sulla base dei suoi giudizi e della sua valutazione, li licenzia o li assume. Insomma, una sorta di piccola azienda senza la presenza sindacale che contratta e negozia.

 

Ecco perchè, tutto sommato e al di là delle polemiche che sono tuttavia sempre negative e spiacevoli, forse non tutto vien per nuocere, come si suol dire. Ovvero, adesso è più chiaro per i Popolari individuare i compagni di viaggio con cui costruire un partito di centro che sappia declinare, al contempo, una autentica “politica di centro”. Dinamica, innovativa, moderna e riformista. Non è possibile, del resto, dar vita ad un progetto politico e di governo di lunga prospettiva con chi individua nella tua cultura e nella tua tradizione ideale solo un peso o un inciampo da rimuovere al più presto. Al di là delle dichiarazioni pubbliche e dei solenni pronunciamenti. E i Popolari, oggi, sono una componente fondamentale – con altri filoni ideali, com’è ovvio e scontato – per declinare un progetto centrista, riformista e democratico. 

 

Lo vorrei ricordare per chi l’avesse dimenticato con troppa disinvoltura, il Centro nel nostro paese non può essere una riedizione – seppur in forma aggiornata e rivista – dell’esperienza del partito liberale, del partito repubblicano o di un maldestro partito tardo azionista. Quella, seppur legittima, sarebbe una esperienza politica elitaria, aristocratica e radicalmente alternativa ad un centro popolare e realmente di governo. E per centrare quell’obiettivo è indispensabile l’apporto e il contributo di una cultura, di una tradizione e di una storia che risponde al nome di popolarismo di ispirazione cristiana. Una tradizione che nel nostro paese ha contribuito, dal secondo dopoguerra in poi, a costruire le migliori stagioni politiche e di governo.

 

E soffermarsi a giudicare i singoli esponenti, peraltro autorevoli e significativi di quella storia come Beppe Fioroni, oltrechè essere sgradevole, è anche un esercizio per nulla edificante e costruttivo sotto il profilo politico, culturale e valoriale.