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L’Osservatore Romano | A Gerusalemme la riscoperta della dimensione fisica della fede.

Presentando il suo libro a Roma il cardinale Tolentino è partito da questo splendido passaggio: «Il mio cristianesimo non costituisce un sapere, ma un modo di abitare ciò che la mia ragione ignora. Grazie a esso mi dirigo attraverso una foresta, l’oscura condizione umana. Sempre a tentoni, ma con sempre più luce». Un’immagine quasi dantesca della vita vista come «selva oscura»…

Quando ero ateo vedevo la condizione umana simile a quella del labirinto in cui ci si smarrisce e da cui non si esce. Adesso la vedo come un cammino, anzi, come un passaggio. Il cammino è oscuro però ci sono delle luci per proseguire nel cammino e per uscire. Per questo ammiro molto le persone che sono profondamente atee, perché pensano che per fare luce hanno soltanto la lampada che loro stessi hanno fabbricato. Io la lampada, l’ho ricevuta. Gli atei attraversano la vita con coraggio, io l’attraverso con fiducia.

Questa sfida di Gerusalemme di cui lei parla è legata al fatto che, come scrive nel libro, «Gerusalemme ci sveglia. O meglio, Dio ci sveglia attraverso Gerusalemme» e più avanti: «Il luogo in cui tutto è cominciato, niente è finito». Una città aperta, che non chiude e non può essere chiusa in definizioni, ma dispiega una potenza vitale e, nel suo cuore, una promessa.

Esatto, perché Gerusalemme siamo noi, gli umani. Capaci di tirar fuori il meglio ma anche il peggio di noi stessi. Questa città è un concentrato delle diversità e delle contraddizioni umane: fraternità e fratricidio, il muro e il ponte. E quindi può parlare a tutti gli uomini: al cristiano, all’ebreo, al musulmano e al non credente. Quando ho attraversato Gerusalemme la città mi chiedeva: chi sei? Alla fine del viaggio rispondevo: “sono cristiano” e, sempre alla fine, ero ancora più io stesso di prima ed insieme sentivo l’obbligo di riconoscere gli altri. Gerusalemme è una chiamata, nello stesso tempo, ad approfondire la propria identità e a rispettare l’identità degli altri. Un luogo unico.

Alla fine lei risponde alla domanda di Gesù «chi dite che io sia?» e dice che da ragazzo pensava a Gesù come a un mito, poi ammetteva che era un profeta, da più grande è arrivato ad affermare che era un filosofo, infine oggi può mormorare che è il Figlio di Dio». Questo verbo, “mormorare”, è un richiamo biblico, la teofania di Dio a Elia sul monte Oreb…

Credo alla forza del mormorare, del sussurrare. Uno si fa capire meglio dall’altro quando mormora rispetto a quando grida. Abbiamo bisogno di parlare sottovoce e smettere di gridare, perché parlare così, con un mormorio leggero, crea l’intimità. È come nella musica, bisogna lasciar spazio ai diversi toni, alle sfumature, e anche al silenzio.

Infine, la nudità. È un tema che torna spesso in queste pagine. Gli uomini, scrive, vivono i tre momenti più importanti della vita, da nudi: nascere, amare, morire. E questo libro appare come una lunga confessione, un mettersi a nudo. Forse perché Gerusalemme è una città che mette a nudo?

In un primo tempo la città provoca il contrario, un istinto, un desiderio di protezione, di avere una corazza di difesa, ti trasforma in un carapace. Ma dopo aver frequentato la città, essa ti porta a essere quello chi siamo. È un rituale iniziatico questa città. Io ero già stato in qualche modo a Gerusalemme, quando ho scritto Il Vangelo secondo Pilato, ma oggi ho vissuto l’esperienza concreta, fisica. Anche se scrivere è un’esperienza per me molto particolare, ha a che fare con il partorire e il nascere, perché la penna rivela i pensieri più reconditi di chi scrive. Quando mi capita di parlare e rispondere alle altre persone, anche su temi complessi, penso o parlo in modo molto netto, diretto, perché nella vita normale sono soltanto io. Ma quando prendo la penna e scrivo tutto diventa molto più complesso, perché non sono più io, ma sono gli uomini, sono in un terreno dove ci incontriamo tutti. Un po’ come è Gerusalemme.

 

Fonte: L’Osservatore Romano – 21 settembre 2023

Titolo originale: Nella città dove tutto è iniziato (e nulla finisce)

[Testo riproposto per gentile concessione del direttore del giornale della Città del Vaticano]

Éric-Emmanuel Schmitt, La sfida di Gerusalemme. Un viaggio in Terra Santa (traduzione di Alberto Bracci Testasecca), Edizioni E/O, pagine 160, euro 17.00, arricchito da una lettera di Papa Francesco all’autore.