Manganelli e sacerdoti, qualcosa non va: un mondo alla rovescia?

Occorre badare noi per primi a non passare ad altre notizie, di secondo piano, trascurando quelle che devono allarmare costantemente le nostre coscienze. È tempo di Quaresima, l’ora di una riflessione.

I fatti di cronaca corrono via per dare spazio a ciò che di altro accadrà. Le manganellate di qualche giorno fa della Polizia contro un gruppo di studenti, che protestavano per la guerra in Palestina, perderanno presto campo. 

Se n’è avuto un sussulto per l’intervento del Presidente della Repubblica durante il passaggio elettorale in Sardegna, ma siamo già all’ormai passato.

Ciò malgrado, della repressione se ne è parlato in lungo e in largo come un episodio clamoroso, tale da suscitare scalpore. Qualche manifestante si è preso delle bastonate in testa e ne è rimasto ferito. Ciò è male. 

Eppure, per dare giusta dimensione all’episodio, non vanno dimenticate le proteste studentesche dal ’68 in poi. In quel tempo ogni giorno correvano cariche dei “Celerini” e cortei da ogni parte del nostro Paese. 

Scontri di tutt’altro rilievo contro studenti e operai, i lacrimogeni erano più numerosi dei segnali stradali; catene, bastoni, fionde, sassi e quant’altro ancora erano ogni giorno strumenti di un confronto continuo tra i rappresentanti delle forze dell’ordine e quelli che si opponevano ad un mondo che volevano cambiare. Si è andati avanti così per anni.

Questa volta si ha l’impressione che i giornali, a corto di effettivo sgomento per quanto accade a Gaza e dintorni, abbiano marcato l’attenzione per un fatto che non presenta alcun motivo di particolare stupore. 

Scaramucce e botte in questi casi ce ne sono spesso stati e non se ne vede la meraviglia e la mobilitazione, l’indignazione ed ancora i sentimenti di condanna, quasi che fosse la prima volta un fatto del genere.

Una storia di divertente fantasia, forse con una punta di piede nella realtà – c’è da diffidare quasi del tutto – racconta che il manganello sia stato inventato diversi secoli fa dal comandante della polizia borbonica tal Gennarino Pio Esposito, chiamato appunto “Manganello”, che avrebbe ottenuto un posto di lavoro, sviando furbescamente da un altro parte il vero vincitore del concorso, un certo Nello. Dicendo che “Manga Nello”, Esposito avrebbe avuto partita vinta.

Più seriamente, il manganello porta subito alla memoria il bastone usato dalle squadre fasciste e giocando con i contrari avrebbe come suo opposto l’accarezzio. 

È comunque il diminutivo corrente di mangano, un torchio usato per stirare a caldo i tessuti e svaporarli. Con le teste calde ci sarebbe appunto bisogno di sbollentarne gli spiriti. È questo il timore che deve aver evidentemente attraversato i leader politici, soprattutto dell’opposizione, che paventano una inaccettabile repressione dei diritti civili.

Nel tumulto dei fatti recenti è sfuggita una notizia che avrebbe meritato davvero la ribalta e che avrebbe dovuto ribaltare la scaletta dei commenti sui media di maggiore spessore.

Don Maurizio Patriciello, il noto parroco di Caivano, ha denunciato l’abbandono della Chiesa e dell’oratorio da parte dei suoi fedeli. Gira la voce che sia lui il responsabile dei 254 appartamenti oggetto di sfratto nella nota zona 167, un bronx dove molte famiglie malavitose dettano legge e sono allarmate dai primi effetti del “decreto Caivano”, che prevede il recupero di quell’area epurandolo da presenze delinquenziali.

Dunque, si impedirebbe, con atti di intimidazione ai fedeli, di poter vivere la loro pratica di credenti; correrebbe, sottile, un monito a non accostarsi nella chiesa del nostro sacerdote, un passaparola volto a strangolare quella di un pulpito che irrita camorra e consimili. Siamo in Italia e non in El Salvador dove è stato ammazzato monsignor Romero.

A Roma, la capitale d’Italia, Don Antonio Coluccia è costretto a girare con scorta armata. Gira per le piazze della droga per indicare alle vittime un percorso di recupero. Così gliel’hanno giurata. 

A Don Pino Puglisi hanno già chiuso la bocca. In Calabria, Don Felice Palamara, il Parroco di Pennaconi, ha rischiato di bere della candeggina al posto del vino utilizzato per la celebrazione della Santa Messa. Qualcuno ha provveduto alla sostituzione sperando di lavare per sempre dalla bocca del sacerdote le parole di legalità, giustizia e libertà. Anche lui oggetto di attenzioni da parte della ‘Ndrangheta che si era limitata fino ad oggi a minacce e danneggiamenti della sua auto.

La sicurezza è la mancanza di cura, cioè di preoccupazioni. Ci sono priorità che non possono essere smentite dai giornali e dai notiziari. C’è da essere in ansia per una chiesa dove ad un sacerdote stanno fisicamente rubando la sua comunità, mentre altri rischiano la pelle per un abito che indossano e le parole che dicono.

“Sbatti il mostro in prima pagina” è il titolo di un film di tempo fa. Così, occorre badare noi per primi a non passare ad altre notizie, di secondo piano, trascurando quelle che devono allarmare costantemente le nostre coscienze. Al “Don” che precede il nome di ogni padrino di mafia, possiamo opporre altri “Don” che ogni giorno rischiano la pelle per svegliarci, con il “din don dan” delle loro campane, dalla nostra capacità di abitudine al male.

È tempo di Quaresima, l’ora di una riflessione.