Mons. Gallagher invita a guardare oltre la logica della guerra

Siamo in una situazione “lose-lose”, in cui tutti perdono. Del resto, la guerra non risolve i problemi ma li aggrava tutti. Occorre riconoscere che la transizione geopolitica in corso è irreversibile.

Le due recenti interviste di monsignor Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali, il ministro degli Esteri della Santa Sede, al Tg1 e alla rivista dei gesuiti americani, “America”, contribuiscono a orientare il dibattito internazionale in questa fase delicatissima. Tre in particolare sono i punti, della posizione del Vaticano, ribaditi dal presule inglese, con specifico riferimento alle due maggiori guerre in corso: quella russo-ucraina e quella israelo-palestinese. La situazione in cui siamo attualmente, è una situazione “lose-lose”, in cui tutti perdono. La guerra non risolve i problemi, li aggrava e poi, comunque vadano, “tutte le guerre finiscono con una qualche forma di negoziazione”. Il terzo punto è la consapevolezza che la transizione geopolitica in corso è in ogni caso irreversibile, non saranno le armi a fermarla, e dunque per monsignor Gallagher appare “inevitabile” che quando la guerra finirà “ci sarà un nuovo ordine mondiale” caratterizzato da “più gruppi alleati nel mondo “, non solo Est e Ovest.

Credo che questa visione degli attuali problemi internazionali ci aiuti a considerarli da un’altra prospettiva. E anche in Italia le due suddette interviste  possono costituire uno stimolo per tutti, compresi i cattolici impegnati in politica e nelle varie forze politiche di maggioranza e di opposizione, a coniugare la lealtà e la solidarietà dell’Italia con il sistema di alleanze in cui è inserita con la necessità nel dibattito culturale, politico e mediatico di non alimentare delle narrazioni che invece concorrono a fare andare le cose nel senso opposto a quello auspicato da tutti.

Fermo restando, dunque, il contributo del nostro Paese alla linea decisa di comune accordo dalla Nato e dalla Ue, va nel contempo tenuta in considerazione la prospettiva generale in cui gli eventi bellici si collocano. Si deve considerare che comunque la guerra in Europa, anche nel caso malaugurato che si dovesse ulteriormente inasprire ed estendere, non garantirà la continuazione dell’egemonia occidentale sul mondo, ma anzi otterrà, come sta già succedendo da un decennio, una clamorosa eteogenesi dei fini. La Russia, che dal 1997 al 2014 è stata addirittura membro del club dei maggiori Paesi occidentali, il G8, è stata progressivamente spinta a stringere legami più stretti con Cina, India e Sud del Mondo, a causa di interventi destabilizzanti operati in Ucraina da gruppi di interessi privati, al di là della stessa volontà del governo americano di fare scoppiare la polveriera ucraina. 

Ora si deve raffreddare la situazione, aggravata dalla brutale invasione dell’Ucraina da parte della Russia  nel 2022, e sarà molto più difficile rimettere insieme i cocci, tentando di tornare possibilmente alla situazione iniziale, di una Ucraina reintegrata di tutti i suoi territori e nel contempo neutrale, non nella sfera di influenza russa e neanche in quella americana e inserita in un nuovo ordine internazionale dove non uno solo, ma più sistemi di alleanze concorrono a definire la politica globale.

Se invece si insiste nella narrazione della guerra come unica via da continuare a percorrere, e non si danno nuove chance alla diplomazia, si rischia di produrre qualcosa che assomiglia al fratricida e annoso scontro franco-tedesco del secolo scorso. Mentre tra Otto e Novecento francesi e tedeschi si scannavano per l’egemonia in Europa, a vincere alla lunga furono il Regno Unito e gli Stati Uniti. Nello scenario multilaterale attuale anche la guerra russo-ucraina-europea può esse vista come una guerra fratricida. E mentre Europa e Russia si combattono, il resto del mondo, guidato da Cina, India, Brasile prende il sopravvento. 

Vi è per questo l’urgenza che anche l’Occidente (per l’esattezza ormai solo più alcuni ristretti circoli ancora arroccati a difesa dei loro privilegi derivanti dall’unilateralismo e capaci di tutto per non rinunciarvi) si convinca che occorre contribuire al passaggio da una situazione “lose-lose” provocata dalla guerra a un sistema improntato alla logica “win-win”, di comune vantaggio per tutti. Non farlo, e crogiolarsi in narrazioni autoreferenziali, che non reggono al di fuori dell’Occidente, come sta succedendo ad esempio per la narrazione sull’Isis, può solo contribuire ad accelerare il declino anziché giovare alla rinascita dell’Occidente in un mondo sempre più multicentrico.