Via crucis, Pilato lascia spazio al peccato che incombe.

La morte ronza intorno all’uomo, sospettosa, con il timore di rimetterci del suo. Intuisce di poter restare intrappolata da una resurrezione che non conosce. C’è il rischio di morire lei per prima e cambiare il corso delle cose.

Malgrado l’iniziale esitazione di Pilato, la sentenza fu di condanna. C’era da accontentare il potere dei sacerdoti e dare soddisfazione al popolo appositamente sobillato per chiedere la giustizia che a loro piaceva secondo le convenienze della tasca. 

La guerra sparge ovunque i mattoni deturpati dalle schegge delle bombe, palazzi collassati dalla paura di altri colpi definitivi a condurli a morte, un continuo via vai di sfollati, strade desolate, d senza più spina dorsale, spezzate dalla polvere da sparo che ne intossica la tenuta. Tutta intorno, più vasta delle nuvole, la fame che ammanta gli spazi, mordendo per prima la pancia dei bambini. È questa la grazia che invocano gli adulti venendone sempre esauditi. Se piangono per la fame, non hanno lacrime per gli spari che piovono da ogni parte, così difendendosi dalla paura.

È venerdì. Pilato si è fatto da parte lasciando spazio al peccato di cattiveria che incombe. Da allora sono passati oltre duemila anni ma il quadro è del tutto attuale. Si dà inizio alla flagellazione, diversa da quella che conosciamo. Si intuisce appena un barcollante scheletro della casa di Pilato, ad occhio umano non si vedono soldati né ombra di altri presenti. C’è un vuoto assoluto, anche l’aria si è fatta da parte. Solo Cristo a ricevere colpi a più non posso da una mano ed una frusta invisibile. Manca persino la colonna a cui legare il suo corpo. Lo scenografo divino ha deciso così.

C’è un silenzio che fa inorridire un dolore che geme per non riuscire a dare spettacolo, a digiuno di condivisioni con uomini e donne a fare contorno alla esecuzione. Non sa su chi abbattersi e come eccitare i cuori dei carnivori che adorano vedere il sangue schizzare dalla schiena del condannato.

Il dolore si sente solo; forse urla ma non ha chi possa sentirlo, si sgola all’impazzata almeno per far in modo che egli stesso sia uno spettatore a cui arrivare. La schiena di Cristo è il crocevia delle parole dette nei secoli da uomini contro che se le dicono di santa ragione, da un tempo senza tappe. Ogni sillaba è una frustata che approda con la presunzione di essere quella definitiva e chiudere la partita, dicendo agli altri della vittoria. Un istante dopo, la replica di altre lettere e altre scudisciate di quelli che non si arrendono ed hanno ancora da dire la loro.

Il corpo di Cristo è un alfabeto scomposto di urla lacerate, accumulate nei millenni, che non trattengono più l’ordine della grammatica. Un giorno le tonsille si riposeranno ma il figlio di Dio è ormai segnato per sempre. Anche a Lui è stata tolta di imperio la parola. Gli hanno lasciato dei rantoli incomprensibili che suonano alle orecchie dei violenti come di provocazione, dal suono di vendetta ed allora ancora giù botte e colpi fino allo sfinimento.

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