Navalny, il lupo polare e l’orso di Putin.

Lo Zar e i suoi compagni sono rimasti impauriti dalla capacità del loro contestatore di saper vedere oltre il contingente, il solo in grado di mandare avanti la storia che loro vorrebbero fermare.

In un tempo di guerre la morte diventa un’abitudine, perde il suo carattere di tragedia per diventare anonima al pari di un qualunque altro fatto. Essa stessa è smarrita. Desidererebbe non essere più chiamata in causa quotidianamente, così da riprendersi la scena perduta. Difficile accettare di essere una stella non più cadente ma decaduta, senza l’attenzione di chi l’osserva non esprimendo alcun desiderio.

Ci ha pensato il dissidente Navalny a muovere le acque del firmamento morendo nella prigione in cui lo aveva sbattuto Putin dalle parti del circolo polare artico, dove il freddo fa sentire la sua e congela non solo le carni ma anche il pensiero.

Il rischio è che possa sbrinarsi ma anche questo è stato calcolato. Occorrerebbe un tempo che porterebbe alla luce una idea di rivoluzione ormai fiacca e priva di pericoli.

Stare in circolo significa ripetere ossessivamente un proprio cammino fino a rimbecillirti, un po’ come il giro dell’otto di un lupo in gabbia. Navalny è stato suo malgrado iscritto al circolo esclusivo del Polo, non quello dei cavalli, ma a Nord, all’Artico del mondo.  Tutto torna nel disegno della storia. A scavare nella etimologia, Artico significa “Orsa”, per combinazione proprio il simbolo della grande patria russa.

Callisto, ancella di Artemide, ebbe effusioni proibite con Zeus e per punizione fu trasformata in Orsa rischiando di essere uccisa in una battuta di caccia dal figlio Arcade. Per evitare la tragedia, tutti furono congelati in cielo a comporre stelle. Nel caso di Putin non potrebbe che trattarsi dell’Orsa Maggiore, posizioni di secondo piano non le avrebbe mai accettate.

Il circolo è una circonferenza che costringe a tornare a se stessi e in se stessi, forse è questo quello che il potere sperava accadesse nel suo recluso, che faceva fatica a rinsavire non dismettendo le armi della protesta, impietrito in un circolo vizioso da cui non voleva redimersi, parte di un club esclusivo di quelli che hanno la testa dura e che si portano appresso le idee anche dopo la morte.

“Tutte le stelle già dell’altro polo vedea la notte” diceva il sommo poeta, sarà stata questa la preoccupazione che ha attanagliato Putin e compagni, impauriti della capacità del loro contestatore di sapere vedere oltre il contingente, il solo in grado di mandare avanti la storia che loro vorrebbero fermare ad ogni costo. Loro appartengono al Polo opposto, quello che non riconosce altro, se non il loro predominio.

Per oltre 27 volte per punizione è stato messo in condizioni di “splendido” isolamento in modo che avesse tempo per ricredersi sulle sue corbellerie e non contagiasse altri con la sua causa, un molesto battere, producendo idee rumorose all’ascolto del popolo, un colpire dando ospitalità a grilli per la testa.

Di insetti non ‘è posto nella testa del regime, per questo hanno messo Navalny nel carcere dalla fredda sigla IK-3, chiamato più confidenzialmente il “Lupo polare”.

In generale è una faccenda di violenze e di animali senza scrupoli. Dall’aquila bicipite dello stemma della Russia zarista, l’orso viene adottato dal partito Russia Unita di Putin, peraltro in perfetto accordo con felice sintonia con l’ex presidente russo Medvedev il cui cognome, se tradotto, significa singolarmente “dell’orso”.

Navalny è stato messo nel freddo asfissiante di quella terra, rendendo frigide le sue idee, con le intenzioni di sterilizzarle. E’ possibile che Putin abbia colto nel segno, confidando nella prossima dimenticanza di un delitto annacquato nel tanto sangue delle guerre in corso. Possibile anche che abbia sbagliato i conti.

Non importa che l’abbiano ucciso o che sia morto di stenti, si tratta comunque di omicidio. Putin ed i suoi fedelissimi devono stare attenti. Navalny aveva 47 anni, il morto che parla.  Se non tormenterà le coscienze dei suoi aguzzini, continuerà ad incitare alla libertà.

Navalny il contestatore ha rischiato di cadere nell’oblio e come tutti gli eroi, vittime di ingiustizia, è resuscitato di nuovo alle cronache che sarà per un tempo più lungo della esistenza di Putin e delle sue schiere.

C’è qualcosa di goffo, di orribile e di mistico nella vicenda. La madre di Navalny ne ha chiesto all’obitorio la restituzione del corpo. Le è stato risposto che “non è qui dove lo cercate”. Altre donne, duemila anni fa, nei pressi di un sepolcro, ebbero risposte simile.

Putin e consimili, per tempo ancora, venderanno cara la pelle dell’orso, ma idee di fuoco prima o poi bruceranno i governanti di oggi, trascurando il gelo di quel carcere che, per contrasto, ha mantenuto, bene in fresco, idee di libertà senza che possano mai corrompersi, pronte a fare di nuovo la loro parte in barba allo zoo a cui vorrebbero abituare non poca umanità.