Nel Pd si è spenta la funzione dei cattolici democratici

Castagnetti ed altri devono fare i conti con la crisi del Pd. Affidarsi alla virtù del pragmatismo equivale a smentire l’ambizione di fungere da coscienza critica del centro sinistra risorto dopo la caduta della Prima Repubblica.

La sconfitta nelle ultime amministrative ha riaperto il dibattito all’interno del Pd. La Schlein ha provato a non farsi vedere, ignorando persino l’urgenza di una valutazione dei risultati negli organi di partito, ma senza riuscire per questo a velare lo stato di allerta che circola al Nazareno. A non farsi vedere, stavolta, sono i testimonial del nuovo corso. L’unico a fare eccezione è Dario Franceschini, convinto oramai che la politica sia fatalismo, per cui basta attendere pazientemente per tornare prima o poi al governo. Anche Prodi si è detto preoccupato della vaghezza della proposta politica, non a caso sdegnata dagli elettori; una vaghezza, persino nel normale cifrato della comunicazione mediatica, che fa pensare ad un’altra Schlein rispetto a quella trionfante nelle primarie con il messaggio della radicalità. Doveva essere la Greta Thunberg del progressismo tutto diritti e niente mediazioni, magari con una maturità più consona all’impresa di redenzione della sinistra, ma non è stato così. O perlomeno non ha dato l’idea di esserlo nel suo noviziato di leader senza passato, e quindi senza peccato.

Il paradosso sta nel fatto che ora siano proprio gli sconfitti a richiamare l’ancoraggio della politica allo sperone di una certa radicalità d’impegno, anzitutto nella dialettica parlamentare, per incalzare la maggioranza sul terreno delle scelte di governo. La componente degli ex popolari non manca di pungere con questo stiletto polemico, immettendo così nel circuito della critica un richiamo alla maestà del realismo, ultimo retaggio incontrovertibile del pensiero politico cattolico. È Castagnetti a ricordare, ieri sul Foglio, il catechismo di una politica emancipata dal dogmatismo e ricondotta – par di capire – nell’alveo della sua eminente funzione di servizio al bene comune. Un modo, questo, per non esasperare il dissenso sulle questioni di natura etica, come evidenziato ultimamente in materia di maternità surrogata. Sul punto Delrio e Lepri, in un intervento a doppia firma su Avvenire di oggi, fanno del loro meglio per mettere a segno la classica quadratura del cerchio. “Il Pd – scrivono i due dirigenti – non ha finora compiuto atti di rottura sui temi etici. Qualche volta, tuttavia, ha comunicato questa sensazione”.

In altre circostanze fu D’Alema a rammentare che anche in politica vale la formula ”esse est percipi” (l’essere significa essere percepito) enunciata da George Berkeley, il filosofo e vescovo anglicano del XVII-XVIII secolo. La classe dirigente del Nazareno, in primo luogo quella di radice democratico cristiana, dovrebbe considerare il vincolo posto da questo enunciato. Anche solo l’appartenenza al mondo socialista e socialdemocratico europeo, fortemente caratterizzato da posizioni di liberismo etico, spinge nel verso di questa pubblica “percezione”. E il Pd, complice la propaganda congressuale della giovane segretaria, è andato anche oltre la soglia per la quale poteva essere percepito come il partito del “radicalismo etico”. Nell’opinione comune questo dato è apparso come fondativo del “nuovo Pd” targato Schlein.

Il problema che adesso si pone ai cattolici democratici è se la battaglia nel Pd può avere ancora un riscontro accettabile. I dubbi sono grandi e ogni giorno diventano sempre più grandi. Affidarsi alla virtù del pragmatismo equivale a smentire l’ambizione di fungere da coscienza critica – usiamo pure questa espressione – del centro sinistra risorto dopo la caduta della Prima Repubblica. Servirebbe invece che gli stessi Castagnetti e Delrio, solo per citare i più rappresentativi, non indugiassero a spingere la loro critica fin dove necessario a disvelare il fallimento dell’operazione che ha portato con tutta evidenza alla consumazione del “partito unico del riformismo”. Lo sforzo di correzione dall’interno è diventato un impegno inane,  senza respiro strategico, tanto da presentarsi agli occhi della pubblica opinione come un sorvolamento sulla crisi del Pd. Dunque è tempo di riconoscere che i popolari, dispersi e pur legati alla lezione di Sturzo De Gasperi e Moro, possono o meglio devono riprendere un percorso di autonomia. Il Pd non è il sogno che avevano sognato, magari con troppa fiducia e senza precauzioni.