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venerdì, 25 Luglio, 2025
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Nel respiro caldo dell’estate: ascoltare il creato che geme

Un invito a riconoscere i segni del tempo e a tornare alla custodia del creato.

Fa caldo. Lo sappiamo. Lo percepiamo. Ma questo caldo ha smesso da tempo di essere soltanto una stagione. È un caldo diverso, che punge la pelle e interroga l’anima.

Non è più il sole amico dell’infanzia, quello che maturava i grappoli e asciugava i panni al vento. È un calore che inquieta, che si fa domanda, che accende allarmi prima ancora del cielo. Sui notiziari scorrono le immagini consuete: gente che si disseta  a una fontanella, anziani all’ombra, ventilatori accesi come ceri votivi.

E, dopo i segnali di allerta, poi i soliti consigli, recitati come un rosario estivo: bere molta acqua, evitare l’alcol, mangiare leggero. Utile, certo. Necessario. Ma forse insufficiente.

Il caldo di oggi è un messaggio

Perché il caldo, oggi, non è più solo temperatura. È diventato linguaggio del creato. Un linguaggio che chiede di essere ascoltato, non solo misurato.

Sì, il caldo c’è sempre stato. Ma non questo caldo. Non questa frequenza di ondate, non questa stanchezza che pare cosmica, come se anche la Terra sudasse, sfiancata. Non questa natura smarrita, come un organismo ferito, come una creatura che geme nel travaglio.

Una crisi che riguarda il cuore

Papa Francesco, con la delicatezza profetica che gli apparteneva, ci ha lasciato parole che risuonano con forza nel nostro tempo: “Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti” (Laudato si’, n. 23). E poi: “Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale” (Laudato si’, n. 139).

Il caldo di quest’estate – e di quelle che verranno – non è un castigo. È una richiesta di attenzione. Un appello a tornare alla custodia, alla misura, alla comunione.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, entro il 2030 il cambiamento climatico potrebbe causare almeno 250.000 morti in più ogni anno, per fame, malaria, eventi estremi e stress da calore.

Non è solo una crisi ecologica: è una questione di vita, di giustizia, di responsabilità condivisa. Perché la Terra non è solo un luogo da abitare. È sorella da ascoltare, dono da proteggere. E questo caldo non ci sta solo facendo sudare: ci sta chiedendo conversione.

Respirare il creato con gratitudine

Forse allora, accanto alla bottiglia d’acqua e al cappello in testa, dovremmo portarci dietro anche una domanda più grande: Qual è il mio posto in questo mondo che arde? Come vivo? Come cammino? L’estate può essere tempo propizio. Tempo per rallentare, per ascoltare non solo le cicale, ma il battito ferito del creato.

Per riprendere fiato, sì, ma anche per riconoscere, in ogni respiro, il soffio del Dio della vita. C’è un modo di vivere il caldo che insegna lentezza e ascolto. Anche nell’estate che brucia, può nascere un’offerta, umile come un respiro: un modo di abitare la Terra che somiglia a una benedizione silenziosa, ripetuta ogni giorno.

E allora, anche quest’estate – la più calda, dicono, ma forse solo la più eloquente – può diventare una parabola. Un’occasione per vegliare, come sentinelle del mattino. Per custodire la speranza sotto il sole.

Per tornare a chiamare la Terra con il suo nome più autentico: Madre. Sorella. Casa.