Niger, l’ultimatum prolungato è una chance per il dialogo

Bisogna scongiurare una guerra destabilizzante per lo sviluppo dell'Africa, dalle pesanti ricadute sui flussi migratori e sulle politiche energetiche. Quale tangibile progetto di collaborazione equa e paritaria? Il contributo dell’Italia.

Dopo che è scaduto domenica scorsa l’ultimatum verso gli autori del golpe militare in Niger del 26 luglio scorso, l’Organizzazione degli Stati dell’Africa Occidentale, l’Ecowas, ieri ha indetto un nuovo vertice straordinario sul Niger per giovedì prossimo 10 agosto ad Abuja, capitale della Nigeria. Una decisione che di fatto accoglie le richieste internazionali di prolungamento dell’ultimatum, avanzate tra gli altri, da Stati Uniti e Italia, come dichiarato dal nostro ministro degli esteri Antonio Tajani, utile a non spezzare il sottile filo del dialogo fra le parti per scongiurare una guerra che rischierebbe di assumere contorni molto ampi. Infatti, dei 15 stati che compongono la Comunità economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest, quattro sono stati sospesi – il Niger più gli altri 3 stati, Mali, Burkina Faso e Guinea Conakry che negli ultimi anni sono usciti dall’orbita francese – e solo 3 degli altri 11 stati – Senegal, Costa d’Avorio e Benin – si sono dichiarati sinora disponibili ad affiancare la Nigeria, che è lo stato-guida nell’area del Golfo di Guinea, in un intervento militare in Niger.

C’è da sperare che possa prevalere la prudenza, sia tra i Paesi africani che tra quelli in modi diversi legati Niger. In primo luogo la Francia cui il generale Abdurahmane Tchani, a capo del governo golpista, ha concesso 30 giorni per ritirare il proprio contingente militare dal Niger. E poi i Paesi come Cina, Russia e Turchia che stanno approfittando, concorrendo ad accelerarlo, del disimpegno francese dall’Africa. Come osservava l’altro ieri su queste colonne Enrico Farinone, è tutta la fascia del Sahel, ormai battezzata “coup belt”, ad essere soggetta ad una crescente instabilità. E una eventuale guerra che al momento vedrebbe coinvolte 7 nazioni (4 a supporto dell’intervento militare Ecowas in Niger e 3 contro perché Burkina Faso e Mali in caso di guerra hanno annunciato il loro sostegno ai golpisti di Niamey), con Algeria ed Egitto, già in preallerta, potrebbe avere conseguenze di portata inimmaginabile e ben al di là degli equilibri dell’area. In primo luogo la guerra accrescerebbe l’instabilità anche in Paesi come Nigeria e Senegal, mettendone in discussione la loro collocazione, perché farebbe sentire ancor più al loro  interno il forte vento che soffia sull’intero continente, di riscatto e di protagonismo dell’Africa. 

L’elemento nuovo che fa da molla a queste speranze, anche in Paesi poverissimi come il Niger, è che negli ultimi anni tali legittime aspirazioni hanno trovato un elemento catalizzatore nella crescita della capacità di organizzarsi sul piano internazionale dei Paesi emergenti, in particolare  dei BRICS, i quali non si pongono in alternativa all’Occidente ma mirano al riconoscimento della parità dignità fra le diverse aree del mondo, dando il loro contributo, come ha ribadito ieri la ministra degli esteri del Sudafrica, Naledi Pandor, a “una crescita globale reciprocamente vantaggiosa e a uno sviluppo sostenibile che risponda ai bisogni e alle richieste di tutto il mondo e non solo di pochi privilegiati”. Concetti assai simili sono stati espressi quasi in contemporanea dal ministro degli esteri Tajani a La Stampa – e questo dà l’idea al di là dei colori dei governi di turno, di quanto sia avanzata la politica estera italiana. “Dobbiamo trovare soluzioni in Africa – ha detto il titolare della Farnesina – che non arricchiscono solo noi Occidentali, rendendo poveri loro, ma soluzioni che diano benefici ad entrambi”.

Una seconda temibile conseguenza di un grande conflitto internazionale sul Niger sarebbe l’aumento incontrollato dei flussi migratori verso l’Europa e del ruolo degli spietati gruppi jihadisti in gran parte dell’Africa. Questi pericoli ci devono far riflettere. Per quanto enorme sia il dramma dell’immigrazione, è strutturalmente sbagliato mettere a fondamento delle politiche per l’Africa l’immigrazione anziché i rapporti equi, paritari e di reciproco vantaggio. E sui sanguinari gruppi jihadisti che infestano non solo l’Africa, non è mai troppo tardi per riflettere sugli errori compiuti in una strategia occidentale che in questo secolo ha fatto irresponsabilmente leva sulla destabilizzazione dell’Africa e del Medio Oriente, anche fomentando il fondamentalismo pseudo-religioso. Forse non è un caso che si ha notizia dei primi scontri in Niger al confine con il Mali proprio tra milizie jihadiste e mercenari Wagner, insieme alla prova che gli uomini di Prigozin già sono entrati in Niger.

Una terza grande ragione per cui va evitato lo scoppio di un grande conflitto militare nell’Africa occidentale, risiede nelle conseguenze sulle politiche energetiche europee e in particolare italiane. L’Italia infatti è il Paese che più ha puntato sull’Africa come alternativa alla dipendenza energetica dalla Russia. Dal Niger passa il progetto del gasdotto trans sahariano che dovrebbe unire la Nigeria alle coste mediterranee con principale sbocco verso l’Italia e che verrebbe indefinitamente ritardato da una guerra che già nell’immediato potrebbe provocare una grande crisi energetica in un’Europa già afflitta dall’inflazione e dalla guerra ucraina, che non può più permettersi di aprire altri fronti.

La risposta da dare alla crisi del Niger non può che essere politica e sarà tanto più efficace se comporterà anche un cambio di mentalità nel nostro approccio, soprattutto come Ue, perché come Italia siamo sulla strada giusta, verso l’Africa e in una politica estera dei Paesi membri dell’Ue più attenta agli interessi comuni che alla sola affermazione di singole, ormai decadenti, visioni geopolitiche.