Non è mai troppo tardi: la lezione senza tempo di Alberto Manzi.

A 100 anni dalla nascita il ricordo del “maestro degli italiani”, una figura indimenticabile la cui missione educativa ha unito generazioni. Grazie a lui, inclusione e umanità ancora oggi ispirano il mondo della scuola.

Era una sera d’autunno e dalle prime luci del mattino non aveva smesso di piovere neppure per un secondo. Non appena si svegliò, Elena, scelse di rimanere a casa. Era da un po’ di tempo che per la sua tesina di Storia contemporanea aveva deciso di recuperare dalla libreria della tavernetta un antico libro appartenuto a suo nonno, riposto lì, accanto al camino.

Tra le pagine ingiallite, una fotografia: un uomo dall’aspetto gentile, con gli occhi che brillavano di una luce particolare, stava disegnando a carboncino su fogli bianchi. Sotto, una scritta a mano: “Alberto Manzi, il mio maestro”.

Elena sorrise, ricordando le storie che suo nonno le raccontava di quel programma televisivo che aveva cambiato la vita di tanti italiani: “Non è mai troppo tardi. Corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta”. Un programma dove un uomo semplice e appassionato, con l’ausilio di una lavagna luminosa (precorritrice della odierna LIM, lavagna interattiva multimediale), insegnava, o come amava dire il docente stesso, invogliava la gente a leggere e scrivere, coinvolgendo, soprattutto, quelle persone che, per motivi diversi, non avevano avuto questa opportunità.

Chissà se oggi, nel tempo dell’infocrazia, con tutti questi schermi e queste applicazioni, ci sarebbe ancora bisogno di un maestro come lui, pensò Elena, mentre si preparava una tisana bollente. I suoi compagni erano più interessati ai loro smartphone che ai libri. Eppure, quell’immagine appena scoperta celava un’umanità profonda, capace di rendere la trasmissione del sapere da parte di Manzi estremamente coinvolgente.

In quel momento Elena ebbe un’idea: indirizzare una mail al suo tutor con la proposta di recuperare le lezioni di Manzi, adattandole ai tempi moderni, utilizzando immagini, animazioni e suoni per rendere più accattivanti gli argomenti, ma senza mai dimenticare il cuore del metodo di Manzi: la semplicità, la chiarezza e la capacità di far sentire a proprio agio anche chi partiva da zero. Intuiva che per lei quell’esperienza poteva aprirsi a una feconda opportunità di apprendistato.

Iniziò subito a recuperare diversi contenuti, dai video di Rai Teche ai materiali del “Centro Alberto Manzi”, e poi: articoli di quotidiani, storie e testimonianze, contributi su riviste più specialistiche, fonti e documenti di archivio, un paio di testi sulla storia dei media insieme a saggi più recenti sulla rivoluzione del digitale, sull’impatto delle nuove tecnologie nei contesti educativi, sui rischi e le opportunità. Ne venne fuori un bel lavoro monografico, tanto apprezzato anche dal suo docente che le propose di convertirlo in un eBook.

Elena ne rimase piacevolmente sorpresa e i suoi genitori ne furono molto orgogliosi. La voce della pubblicazione del suo primo libro iniziò a girare, al punto che un giorno venne contattata da un’anziana signora, emozionata e incuriosita dall’argomento che la giovane studentessa aveva deciso di indagare.

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