Occorre rifondare i partiti perché altrimenti s’impoverisce la democrazia. Decisiva l’elezione del Presidente della Repubblica.

 

Serve una rifondazione che non può che passare attraverso tre canali, antichi ma che conservano una bruciante attualità. Ovvero, una cultura politica definita e riconoscibile; una classe dirigente qualificata e altrettanto riconoscibile e, in ultimo, un radicamento territoriale frutto di un insediamento sociale e culturale nè effimero e nè volatile.

 

Giorgio Merlo

 

C’è un aspetto, tra i molti che si potrebbero citare, che evidenzia in modo persin troppo plastico la debolezza cronica e strutturale dei partiti contemporanei. E l’esempio è offerto quotidianamente su tutti gli organi di informazione e si riferisce alla sostanziale impossibilità dei capi partito di controllare le “truppe” parlamentari in vista dell’elezione del futuro Presidente della Repubblica. Li definisco “truppe” perchè sono stati nominati attraverso il metodo della fedeltà e dell’obbedienza cieca al capo politico di turno e quindi senza alcuna valenza politica legata al merito, al radicamento territoriale o alla espressività sociale. Ma, come sempre capita quando si arriva in un luogo di potere per casualità o per fortuna, appena si intravede l’impossibilità di ripetere l’esperimento per le motivazioni più varie, scatta immediatamente un’altra logica. Nel caso specifico, la ricerca esclusiva del proprio interesse personale. Con tanti saluti alla fedeltà e alla sottomissione al capo.

 

Ecco, è appena sufficiente registrare questo fatto – cioè il non controllo dei gruppi parlamentari da parte dei rispettivi vertici di partito – per arrivare ad una conclusione politica già nota ma abbastanza cruda nella sua essenza. E cioè, i partiti di fatto non esistono più. Oggi si può parlare solo di cartelli elettorali, di gruppi estemporanei, di aggregazioni casuali che rispondono a logiche personali e del tutto avulse da logiche e costanti politiche, valoriali culturali o vagamente programmatiche. Nulla a che vedere con i partiti del passato ma anche lontani dai partiti che hanno caratterizzato la cosiddetta seconda repubblica. E non solo perchè erano strumenti con una cultura politica, una classe dirigente più o meno qualificata e con un una ramificazione organizzativa disseminata in tutto il paese. Quando tutto ciò viene a mancare, prevalgono esclusivamente gli interessi personali, le convenienze singole e i calcoli sul proprio destino. Ovvero, l’esatto contrario dei criteri che ispirano e disciplinano una buona e costruttiva politica.

 

Riflessioni che, comunque sia, portano ad una conclusione squisitamente politica. E cioè, proprio di fronte allo spettacolo abbastanza squallido che viene evidenziato dal non controllo dei rispettivi gruppi parlamentari, emerge la necessità di una profonda rivisitazione e rifondazione dei partiti politici nel nostro paese. Una rifondazione che non può che passare attraverso tre canali, antichi ma che conservano una bruciante attualità. Ovvero, una cultura politica definita e riconoscibile; una classe dirigente qualificata e altrettanto riconoscibile e, in ultimo, un radicamento territoriale frutto di un insediamento sociale e culturale nè effimero e nè volatile. Senza questi tre requisiti di fondo si rischia di consolidare una situazione effimera e liquida dove la stessa qualità della democrazia si riduce e si impoverisce irreversibilmente.

 

Ecco perchè anche dalla vicenda delicata ed importante della elezione del Presidente della Repubblica può arrivare una lezione decisiva per il futuro e per il ruolo dei partiti politici nel nostro paese.