C’è una piccola conclusione da ricavare e sulla quale ci possiamo fermare.
Quanto sto per dire sta al di la della morale – ci insisto – perché non è in dipendenza dalla nostra buona o cattiva volontà, ma attiene all’essere. Noi uomini che cosa siamo? O siamo figli di Dio – generati nello Spirito Santo attraverso la fede nel nome di Cristo – o non siamo niente.
Il guaio è che Dio ci ha voluti figli suoi, e adesso non abbiamo neanche più la possibilità di non essere, perché ci ha voluti nel Cristo, e siamo definitivamente in lui. Ed essendo definitivamente in lui, lo siamo o per la vita o per la morte, o per la salvezza o per l condanna.
Egli ci ha tolto da quella che avrebbe potuto essere una situazione semplicemente di non-essere, quando non fossimo stati in Dio. E questa è la condanna: non abbiamo neanche più la possibilità di non essere. Come dice l’Apocalisse l’inferno è questo: « Gli uomini brameranno di morire, ma la morte fuggirà da loro » (Ap 9,6). L’inferno è la volontà di non essere e l’impossibilità, d’altra parte, di non essere. Non possiamo più non essere: dal momento che siamo stati costituiti in Cristo, siamo indistruttibili. Fuori di Cristo saremmo il nulla, il vuoto; ma in Cristo partecipiamo della sua eternità, non possiamo più non essere.
Quindi, o siamo figli di Dio oppure siamo questa cosa tremenda, inimmaginabile, che è precisamente l’impossibilità di essere figli e persino l’impossibilità di assecondare l’intimo desiderio, che in quella situazione avremmo, di non essere. Ma non di non essere in questa vita – un non-essere limitato, eliminabile con la morte – ma di non essere in assoluto; e perciò di essere nell’impossibilità di fuggire dall’essere. Questo vuol dire l’essere in Cristo.
Se si è in Cristo, o siamo in lui figli, oppure siamo condannati a questa morte più tragica della morte, a questo non-essere più tragico del non-essere, a questo annullamento più tragico dell’annullamento.
Tutto il resto viene di conseguenza al fatto che il Verbo si è fatto carne. Da quel momento, anzi dal momento in cui il Padre ha decretato il Verbo incarnato, tutta la realtà sta in lui: è entrato in tutti gli spessori del mondo, del reale, degli esseri spirituali, degli esseri corporei, nel cosmo delle intelligenze angeliche e nel nostro cosmo visibile e materiale. Da quel momento, lui veramente abita in noi, abita gli universi, abita le ere, abita gli spazi e i tempi come solo Dio li vede. Tutto questo è avvenuto dal momento in cui si è fatto carne, o meglio dal momento in cui il Padre ha decretato e ha voluto il Cristo, e per lui tutto il mondo e in lui tutti gli esseri. Ed è per questo che più avanti Giovanni dice: «E dalla pienezza di Lui noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia» (Gv 1,16).
Se diciamo di sì a questo Natale del Verbo di Dio nella carne, allora dalla sua pienezza noi riceviamo grazia su grazia. Ma bisogna dire di sì, come l’ha detto la Madonna. Perché il vangelo non sta solo nel racconto degli episodi della vita del Signore. Certo il vangelo è anche questo, il racconto dei fatti della vita del Signore che ha guarito il cieco di Gerico, che ha accolto la peccatrice, ma queste sono ancora le dimensioni esterne e iniziali. Paolo a proposito del vangelo dice:
«Se anche il nostro Vangelo è ancora velato, lo è soltanto per quelli che si perdono, per i senza fede, ai quali il dio di questo secolo ha accecato le menti, affinché non rifulgesse loro lo splendore del Vangelo della gloria del Cristo che è immagine di Dio» (2Cor 4,3-4).
Il vangelo non è soltanto la raccolta dei fatti della vita del Signore – certo, sono molto importanti e commuovono anche il nostro cuore, perché sono norme di vita, via di accesso al Cristo – ma il vangelo è un’altra cosa, è infinitamente di più: è il Vangelo della gloria del Cristo, è la notizia della gloria del Cristo risorto; e non solo della gloria della sua risurrezione ma, attraverso l’evento della sua risurrezione, di quello che ci sta dietro da sempre.
Il vangelo della gloria è la notizia che quell’uomo, quel figlio di Maria, è niente di meno che il Dio nel quale risplende la pienezza della gloria del Padre e nel quale tutte le ere e tutti i mondi hanno la loro consistenza. Non sappiamo nulla delle altre ere, degli altri mondi, ma sappiamo una cosa sola: che tutte le altre ere e tutti gli altri mondi, comunque ce li possiamo immaginare, sono «riempiti» da questa gloria e hanno consistenza solo nella gloria del Cristo.
Quindi, il vangelo globale, il vangelo non episodico – in cui gli episodi sono solo singole manifestazioni, come la trasfigurazione – è il vangelo della gloria di Gesù, Figlio di Dio.
Giuseppe Dossetti