Ora serve un nuovo Ulivo?

L'esperienza dell'Ulivo di prodiana memoria non può essere considerata una semplice parentesi da archiviare e storicizzare definitivamente

Si continua a discutere sulla difficoltà dell’ex centro sinistra nel ricostruire una alternativa politica, culturale e programmatica alle forze che legittimamente hanno vinto il 4 marzo e che altrettanto legittimamente governano il nostro paese. Una difficoltà che affonda le sue radici in una serie interminabile di motivazioni politiche, culturali, comportamentali e di stile. Ma la principale motivazione della crisi strutturale e quasi ontologica dell’ex centro sinistra resta quella di di avere rotto i ponti con il retroterra naturale di una normale forza politica di sinistra o di centro sinistra. Ovvero i ceti popolari, i bisogni e le istanze che provengono da quei mondi vitali e sociali e, soprattutto, aver rincorso – soprattutto nella lunga stagione renziana – politiche e metodi che appartengono storicamente ad altre culture e ad altre visioni di società. E quando il tuo retroterra naturale, culturale e sociale percepisce il mutamento di linea e il cambiamento di prospettiva è persin scontato che il tutto si traduce, poi, in una drastica riduzione del consenso elettorale e politico.

Ora, preso atto che la “vocazione maggioritaria” del Partito democratico e’ una condizione che appartiene già al passato della storia di quel partito e, al contempo, certificato il tramonto del “partito plurale” dopo la lunga gestione “personale” del Pd – l’ormai celebre “Pdr”, il partito di Renzi – forse è giunto il momento per individuare una strategia innovativa e in profonda discontinuità con il recente passato del centro sinistra italiano. Una discontinuità che deve essere innanzitutto politica ma anche di metodo e di contenuto. Ma, come sempre capita nella politica come nella vita, non si tratta di inventare tutto da capo. È sufficiente rileggere il nostro recente passato per comprendere gli errori commessi e le potenziali correzioni da intraprendere e tradurre nel campo riformista e democratico del nostro paese.

E, al riguardo, l’esperienza dell’Ulivo di prodiana memoria non può essere considerata una semplice parentesi da archiviare e storicizzare definitivamente. E questo per una semplice ragione: quella esperienza ha rappresentato una fase di grande innovazione della politica italiana pur senza mettere radicalmente in discussione le ragioni fondanti del pensiero riformista e democratico da cui attingeva la sua linfa vitale. Almeno per come si è manifestato dal secondo dopoguerra in poi. Certo, e come ovvio, rinnovando e modernizzando quella esperienza ma senza rinnegarla alla radice.

Ma, se vogliamo recuperare ciò che di buono c’è stato nel passato, occorre avere l’intelligenza e la capacità di saperlo sintonizzare con le istanze contemporanee. Almeno su 3 fronti.

Innanzitutto va ricostruita una “coalizione plurale”. Se è vero, com’è vero, che la “politica in Italia e’ sempre stata politica delle alleanze” come diceva Mino Martinazzoli, e’ altrettanto vero che occorre piantarla definitivamente con l’autosufficienza politica ed elettorale del partito di renziana memoria. La cosiddetta “vocazione maggioritaria” e la riduzione degli alleati a semplici comparse. Ossia, ci vuole una coalizione che rispetti sino in fondo il pluralismo.

E, in seconda istanza, in una coalizione plurale devono trovare spazio e cittadinanza le singole identità politico e culturali. Il tramonto del partito plurale, nello specifico del Pd, non può che far rinascere – soprattutto in un sistema proporzionale – quelle culture politiche che sono state decisive non solo nel passato ma che anche in una stagione post ideologica come quella contemporanea possono avere un ruolo determinante per ridare qualità alla democrazia e spessore ad un programma di governo. A cominciare anche e soprattutto dalla tradizione del cattolicesimo democratico, popolare e sociale, considerando l’irrilevanza in cui è precipitato in questi ultimi anni nella politica italiana.

In terzo luogo servono leader unitivi – o un leader – e aggreganti. Basta con i “capi” e la relativa corte squallida di gregari, di clienti e di portaborse che hanno ridotto i partiti a strumenti inguardabili e la politica ad un gioco di potere spietato e disumano. Leader che, come ha insegnato l’Ulivo nella sua miglior stagione, sapevano costruire una sintesi efficace e coerente delle varie culture politiche che si riconoscevano in quella alleanza. E questo anche per la semplice ragione