Pecorelli ha lasciato memoria dell’Italia di Moro Berlinguer e Yalta

Quando il giornalista viene ucciso, la stampa, in gran parte nelle mani della P2, lo presenta come un volgare ricattatore. Eppure la lettura delle sue analisi dovrebbe indurre tutti a considerare Pecorelli una testa lucida.

Carmine Pecorelli, detto Mino, nasce a Sessano del Molise il 14 giugno 1928 ed è ucciso a Roma il 20 marzo 1979. Giornalista ed avvocato, si occupa di grandi indagini politiche diffuse tramite Osservatore Politico (OP), agenzia giornalistica da lui fondata nel 1968. La riapertura delle indagini sul suo omicidio, fortemente voluta dalla sorella Rosilde, il programma di Andrea Purgatori Atlantide su La 7 ed il libro della giornalista tarantina Raffaella Fanelli (“La strage continua”) sui misteri dell’omicidio, portano all’attenzione dell’opinione pubblica un evento tragico avvenuto a Roma, in via Orazio, sul quale manca il nome del colpevole. 

 

Pecorelli tratta di politica, in particolare di scandali e retroscena e di chi ha il potere in Italia. Diffusa solo su abbonamento, OP fornisce ai giornali notizie in anteprima, raccolte da Pecorelli grazie alle sue numerosissime aderenze in molti ambienti dello Stato. Le notizie sono accompagnate da analisi piccanti, firmate dal giornalista. OP diventa presto molto nota ed ha centralità in ambiti politici, militari e dei Servizi Segreti costituendo una privilegiata fonte di informazione specializzata. OP è letta dalle alte sfere militari, dai politici, dagli uomini dei servizi, dai boss della criminalità. Scandali pubblicati su OP sono quello dell’Italpetroli, della Lockheed, il caso Sindona, il dossier Mi.Fo.Biali con il coinvolgimento del generale Vito Miceli, capo dei servizi segreti, lo scoop dei cardinali iscritti alla Loggia Massonica P2.

 

Sul mio sito www.gerograssi.it, nella sezione Commissione Moro-2, sono pubblicati tutti gli atti del processo Pecorelli connessi alla morte di Aldo Moro e gli articoli di OP. Sono tantissimi e riguardano personaggi politici come Giulio Andreotti, Vittorio Sbardella, Salvo Lima, Vito Ciancimino, Claudio Vitalone, i mafiosi Tano Badalamenti, Pippo Calò, Stefano Bontade, i fratelli Salvo, l’intera Banda della Magliana, il camorrista Raffaele Cutolo, i finanzieri Angelo Rovelli e Michele Sindona, il capo della P2 Licio Gelli. Molti di questi sono assolti dall’accusa di essere mandanti o esecutori dell’omicidio Pecorelli.

 

Quando Pecorelli è ucciso, la stampa, in gran parte nelle mani della P2, lo presenta come un volgare ricattatore ed anche nelle foto è tratteggiato volgarmente. L’analisi dei conti bancari di Percorelli dimostra che non ha una lira perché spende tutto per OP. Negli anni settanta, a Palermo, presenti Moro e Piersanti Mattarella, si svolge un convegno, organizzato da OP, su un tema raffinato: “I giornali scolastici”. Se Pecorelli fosse stato quello descritto dopo la morte, Moro e Mattarella non sarebbero mai stati i protagonisti del convegno. Ed infine: il 2 maggio 1978, una settimana prima dell’omicidio di Aldo Moro, Pecorelli su OP pubblica un articolo dal titolo: “Yalta in via Mario Fani”. 

 

Tra l’altro scrive: “L’agguato di via Fani porta il segno di un lucido superpotere. L’obiettivo primario è quello di allontanare il partito comunista dall’area del potere nel momento in cui si accinge all’ultimo balzo, alla diretta partecipazione al Governo del Paese. Perché è comune interesse delle due superpotenze mondiali mortificare l’ascesa del PCI, cioè del leader dell’eurocomunismo, del comunismo che aspira a diventare democratico e democraticamente guidare un paese industriale” (riferimento esplicito ad Enrico Berlinguer e alla democrazia compiuta di Moro).

 

Pecorelli continua: “Ciò non è gradito agli americani, perché una partecipazione diretta del PCI al Governo altererebbe non solo gli equilibri del potere economico nazionale, ma ancor più i suoi riflessi nel sistema multinazionale”. E poi: “Nella sua più avanzata voce euro comunista (Napolitano), il PCI è un partito moderatamente filo americano, pieno di diffidenze e resistenze, che in nome di un ritrovato diritto di sovranità nazionale respinge il protettorato della potenza egemone”. Per la storia va detto che il primo esponente comunista a recarsi negli USA è stato l’on. Giorgio Napolitano, e ciò avviene proprio nei 55 giorni del rapimento Moro, dal 4 al 19 aprile 1978. Chi si fa garante del primo comunista in USA? Giulio Andreotti, capo del Governo. 

 

Conclude Pecorelli nel suo articolo, continuando sulla democrazia compiuta di Moro e sulla evoluzione di Berlinguer: “Ancor meno è gradito ai sovietici. Con Berlinguer a Palazzo Chigi, Mosca correrebbe rischi maggiori di Washington. La dimostrazione storica che un comunismo democratico può arrivare al potere grazie al consenso popolare, rappresenterebbe non soltanto il crollo del primato ideologico del PCUS sulla III Internazionale, ma la fine dello stesso sistema Imperiale moscovita. Ancora una volta la logica di Yalta è passata sulla testa delle potenze minori. È Yalta che ha deciso via Mario Fani”. 

 

Almeno la lettura odierna, dopo 45 anni, dovrebbe indurre tutti a considerare Pecorelli una testa lucida del giornalismo d’inchiesta e un interprete sano della politica del tempo.

Gero Grassi, Deputato per più legislature, è stato membro della Commissione bicamerale d’inchiesta “Moro 2”.