Dunque, è un dato abbastanza oggettivo che il Centro non può più mancare nella cittadella politica italiana. Perché dopo il ritorno della destra politica e di governo, della sinistra radicale e massimalista, del populismo anti politico e demagogico, anche un Centro riformista, dinamico e di governo deve fare breccia nel nostro sistema politico. E non per una volontà astratta o meramente politologica ma perché, storicamente, il Centro rappresenta una costante politica e culturale quasi fisiologica nel nostro paese. Del resto, è appena il caso di ricordare che dal secondo dopoguerra in poi in Italia si è sempre governato ”dal centro” e “al centro”. E la conferma, per chi avesse ancora qualche dubbio al riguardo, arriva anche dal Governo guidato da Giorgia Meloni.
Ma il dato che era, e resta centrale in questa discussione, è che il Centro e la stessa ‘politica di centro’ nel nostro paese non possono essere disgiunti e separati dalla presenza politica, culturale e programmatica – ancorché decisiva – della cultura cattolico popolare, cattolico democratica e cattolico sociale. E questo non per una civetteria moralistica ma per la semplice ragione che il Centro e la ‘politica di centro’ non possono essere interpretati e declinati da chi storicamente è estraneo, esterno se non addirittura alternativo a quella sensibilità, a quella cultura, a quella prassi e, soprattutto, a quell’indole. E la conferma arriva quotidianamente dalla concreta dialettica politica italiana. Certo, e per fare tre soli esempi, immaginare che Salvini o la Schlein o Conte possano interpretare o farsi carico di una ‘politica di centro’ è quasi surreale, oltrechè un’operazione del tutto virtuale ed astratta.
E, se è vera com’è vera questa affermazione, è altresì vero che la divisione politica ed anche organizzativa tra i Popolari e nella stessa area popolare non aiuta ma, al contrario, indebolisce un progetto centrista, democratico e di governo nel nostro paese. Del resto, ci si divide su che cosa? Attorno a quali opzioni politiche alternative? E, soprattutto, su quali valori così divisivi?
La verità, semmai, è che la divisione politica ed organizzativa – purtroppo storica, almeno a partire dalla fine della Democrazia Cristiana e dopo la prima fase del Partito Popolare Italiano – è sempre coincisa con la volontà di riaffermare il proprio orticello a prescindere dallo sguardo complessivo e da una progettualità a lunga scadenza. Con il risultato, puntuale come l’arrivo delle stagioni meteorologiche, che il Centro non è decollato, che il cosiddetto ‘bipolarismo selvaggio’ si è consolidato e che, soprattutto, il mondo e l’area popolare si sono prima indeboliti e poi quasi eclissati. Con la triste consolazione che nella destra si sono ridotti a presenza personale e del tutto testimoniale e, sul versante della sinistra, a riproporre la triste e rassegnata esperienza dei “cattolici indipendenti di sinistra” che venivano eletti nelle fila del Pci per confermare la natura cosiddetta “plurale” di quel partito.
Ma la politica, come ci insegnavano i grandi leader e statisti della Democrazia Cristiana, è sempre in evoluzione e la capacità del politico è proprio quella di saperla leggere, interpretare e rappresentare. E oggi, come ricordavo all’inizio di questa breve riflessione, ricostruire il Centro” e una ‘politica di centro” sono diventati quasi un’esigenza non più rinviabile. E a questa domanda, come ovvio, non possono rispondere coloro che sono quasi strutturalmente estranei per storia e per cultura. Ma tocca, semmai, a tutti coloro che storicamente si riconoscono in questo filone, a cominciare appunto dai Popolari, dare una risposta compiuta, convincente, credibile e coerente. Ad una condizione, però; e cioè, che venga superata definitivamente quella “diaspora” che è semplicemente incomprensibile e del tutto estranea e anche nociva per lo stesso raggiungimento del risultato che si vuole perseguire.
Prima lo si capisce e meglio è. Non per il bene dei Popolari. Ma, al contrario, per la qualità della nostra democrazia, per una maggior credibilità delle nostre istituzioni e, infine, per la stessa efficacia dell’azione di governo.