Anche il Nagorno Karabakh testimonia la debolezza della Russia

L’Arzeibagian ha chiuso la partita. Mosca, garante dell’accordo del 2020 e storicamente protettrice di Erevan, non ha più l’interesse di prima nella regione o forse non ha più la forza per garantirlo.

Anche se la regione caucasica del Nagorno Karabakh può apparire lontana ai nostri occhi occidentali quanto sta accadendo in quei territori montuosi dell’altopiano armeno ci offre preziose indicazioni circa le difficoltà anche geopolitiche che sta incontrando la Russia a causa della sua guerra in Ucraina.

Gli eventi delle ultime settimane sono noti: dopo aver bloccato per mesi il “corridoio di Lucin”, cinque km che costituiscono l’unico collegamento fra la regione nella quale vivono 120.000 persone di origini armene e l’Armenia medesima, l’Arzebaigian ha bombardato la città di Stepanakert (“capitale” dell’Artsakh, nome armeno della regione) e nel giro di sole ventiquattro ore ha ottenuto la capitolazione degli armeni, sottoscritta dal primo ministro di Erevan, Nikol Pashinyan (ora duramente contestato per questo dai suoi connazionali). In queste ore è in corso un drammatico esodo verso l’Armenia di migliaia di persone di etnia armena provenienti dal Nagorno Karabakh, timorose delle conseguenze che l’occupazione territoriale operata dagli azeri potrebbe comportare per le loro esistenze.

Il corridoio di Lucin avrebbe dovuto essere controllato dalle forze di interposizione russe sulla base degli accordi siglati all’indomani della guerra del 2020, combattuta in piena pandemia, durata 44 giorni e conclusa con una sostanziale vittoria dell’Arzebaigian, da sempre sostenuto dalla Turchia, sull’Armenia, tradizionale alleata della Russia ma non fino al punto, evidentemente, di essere difesa con ogni mezzo. 

Le ragioni dello scontro ormai trentennale fra Baku e Erevan risalgono alla fase anarchica succeduta alla caduta dell’Unione Sovietica, della quale erano entrambe parte. La regione del Nagorno Karabakh (Artsakh in armeno), popolata in prevalenza da armeni ma in territorio azero, si autoproclamò indipendente contro il volere dell’Arzeibagian, a sua volta appena divenuto stato indipendente. Era il 1991. Ne seguì un conflitto sanguinoso concluso solo tre anni più tardi con un sostanziale successo armeno, fotografato dall’assunzione del controllo dell’intera regione dell’Artsakh e delle zone limitrofe situate ai confini dell’Armenia. La situazione rimase così codificata per un ventennio, con sporadici ma persistenti violazioni del cessate il fuoco ad opera di due contendenti rimasti ostili gli uni agli altri. 

La guerra scatenata dagli azeri nel 2020 venne annunciata quattro anni prima da un brevissimo conflitto durato quattro giorni scatenato dall’Arzebaigian che, forte anche dell’appoggio turco, aveva negli anni rafforzato la propria potenza economica e militare al contrario dell’Armenia, fra l’altro sostenuta sempre più stancamente da Mosca. Il conflitto del 2020 fu così nettamente vinto dalle truppe di Baku, che riconquistarono ampie zone del Nagorno Karabakh nonché le sue aree limitrofe. Quasi centomila armeni dovettero abbandonare le loro abitazioni. Il cessate il fuoco venne mediato dalla Russia, che mise a disposizione anche le necessarie forze di interposizione nelle zone di contatto fra le parti.

La guerra in Ucraina ha distolto però l’attenzione del Cremlino da questa partita geopolitica e di questo ben presto gli azeri hanno avuto piena contezza. Agendo di conseguenza. Dapprima hanno bloccato parzialmente il “corridoio” con la motivazione assai speciosa secondo la quale esso veniva utilizzato per fornire armamenti alle milizie armene. Successivamente, lo scorso giugno, lo hanno blindato ermeticamente, interdicendo la consegna di viveri, medicinali, carburante: creando dunque le premesse per una severa crisi umanitaria. Il tutto nell’immobilismo delle forze di pace russe che avrebbero dovuto impedire il blocco. Infine lo scorso 19 settembre il bombardamento e la rapida vittoria, che per Baku significa completare quella del 2020, conclusasi con l’incompleto asservimento del territorio del Nagorno Karabakh. 

Perché l’Arzeibagian ha deciso di chiudere la partita proprio ora? La risposta è evidente: perché Mosca, garante dell’accordo di tregua del 2020 e storicamente protettrice di Erevan, non ha più l’interesse di prima nella regione, o forse lo avrebbe ancora ma non ha più la forza per garantirlo. La guerra in Ucraina assorbe risorse economiche e umane, e soprattutto mentali: Putin sa bene che non può perderla, ma probabilmente capisce anche che non riuscirà a vincerla. E allora le relazioni geopolitiche assumono un’importanza ancora maggiore di prima ma possono subire dei cambiamenti una volta impensabili. Così l’Arzeibagian diviene uno stato importante quale possibile riserva di approvvigionamento di gas e per la sua collocazione geografica, snodo dei collegamenti con l’Iran. Se gli sviluppi della situazione creano problemi al premier armeno, del resto mai particolarmente amato al Cremlino, pazienza. Le manifestazioni di questi giorni nella capitale Erevan contro di lui potrebbero anche condurre ad una sua caduta. La qual cosa non dispiacerebbe forse del tutto…