PERCHÉ NON SI METTE FINE NEL PD ALLO STILLICIDIO DI ACCUSE E RECRIMINAZIONI SUL CASO RUBERTI?

Gira e rigira questa storia antipatica potrebbe essere archiviata senza grandi problemi, essendo il frutto avvelenato di un diverbio certamente aspro, ma rinvenibile pur sempre nel substrato melmoso delle tradizionali contese di partito, specie in vista di riassetti e nuovi equilibri nei gruppi dirigenti. Perché non lo si fa?

 

Romano Contromano

 

Questo stillicidio sul caso Ruberti non giova al Partito democratico. Chi pensa di tenere il volume abbassato, nella speranza di smorzare le polemiche, commette un errore di ingenuità. Tutto lascia pensare che l’attenzione della pubblica opinione, invece di diminuire, con il passare dei giorni tenda ad aumentare. Non si tratta di un incidente che possa riguardare solo Roma e il Lazio, in un’ottica localistica, per la semplice constatazione di quanto l’eco di vicende incentrate sulla capitale in genere si diffonda con facilità, diventi argomento di dibattto generale e assuma fatalmente un connotato nazionale. In questo caso, assai probabile, gli effetti sulla campagna elettorale potrebbero essere pesanti.

 

A parlare finora sono i protagonisti della violenta rissa verbale, ma non gli organi di partito. Il tentativo di circoscrivere l’accaduto, banalizzando il senso e la portata del video dello scandalo, risulta abbastanza fragile. Più si danno spiegazioni, come ha fatto ad esempio la consigliera regionale Sara Battisti, compagna di Albino Ruberti, più crescono gli interrogativi sui “motivi reali” della lite. Certo, non era il calcio la ragione che ha portato all’incandescente dopo cena di Frosinone: anche a voler insistere – e un po’ questo avviene – si capisce lontano un miglio che a far saltare i nervi è stato ben altro che non la veemenza di tifosi troppo accesi. Ora sembra che gli sproloqui, invero poco eleganti, fossero piuttosto collegati alle dispute sul dopo Zingaretti. Tant’è che in modo neppure troppo velato si accenna alla responsabilità degli “altri” a riguardo della messa in circolazione del video.

 

Gli “altri” però tacciono. Perché? Dovrebbe essere il segretario regionale, Bruno Astorre, a chiudere questa discussione. E lo dovrebbe fare sia per il ruolo che ricopre nel partito, sia per la sua appartenenza alla corrente degli “altri”: quelli, cioè, che nelle circospette dichiarazioni della Battisti risulterebbero schierati a favore della candidatura del vice presidente della giunta regionale, Daniele Leodori, amico di lunga data di Astorre. E dunque? Gira e rigira questa storia antipatica potrebbe essere archiviata senza grandi problemi, essendo il frutto avvelenato di un diverbio certamente aspro, ma rinvenibile pur sempre nel substrato melmoso delle tradizionali contese di partito, specie in vista di riassetti e nuovi equilibri nei gruppi dirigenti.

 

Alla resa dei conti, non si comprende come mai si lasci campo libero alla prosecuzione, tanto nociva in campagna elettorale, di questa infelice controversia portata avanti a suon di accuse e recriminazioni, senza risparmio di energie. Il Partito democratico, ovvero il corpo dei suoi militanti, non se lo merita.