Alle persone coinvolte nel caso Soumahoro non resta che confidare nell’ingiustizia

In un vecchio Carosello, il protagonista che stava per essere sanzionato da un vigile per una infrazione commessa, si giustificava dicendo: “Mi non so, son forestiero, per me tutto va ben”.

Le cose stavano dunque nel modo sospettato mesi addietro dagli inquirenti. “Quel pasticciaccio di via Merulana” ancora oggi, in confronto, sarebbe un cruciverba per bambini. Le acque appaiono confuse, così anche la geografia della situazione e l’uso corretto delle consonati.

Il Caribù è un animale erbivoro, un simpatico ruminante che rigurgita dopo un po’ quello che ha ingerito per poi rimasticarlo. Non vive in Africa ma nelle zone artiche. Circondato dalla neve, usa il rumore delle ginocchia per comunicare con i propri consimili. Quando sono addomesticati sono più comunemente chiamate renne. In ogni caso a causa del clima si stanno estinguendo.

In provincia di Roma e Latina fa ugualmente freddo, quello da far battere non le ginocchia ma i denti ai migranti accolti nelle cooperative Karibù e Aid, gestite dalla suocera e dalla moglie dell’on. Soumahoro, che avrebbero dovuto assicurare accoglienza ai giovani richiedenti asilo.

E’ emerso, più che un progetto di speranza, il fatto che abbiano patito la fame, tenuti assai oltre la linea dello stecchetto. Ogni tanto un po’ di riso, più che altro per mano di qualche assistente che di propria tasca ha provveduto generosamente a ciò che è mancato. Niente vestiti, riscaldamenti rotti e nessuna coperta sono la chiusura del cerchio.

Del resto non dovrebbero lamentarsi. Non si può pretendere che li si accontenti con i licheni che in quelle zone non crescono. Al freddo oltretutto dovrebbero essere ferrati. Se sono stati costretti a lavorare senza essere pagati non è che un dettaglio, come quello di essere arabi, tunisini e algerini, un paio di metri sotto l’artico.

Se i soldi non arrivano dal Ministero dell’Interno è difficile fronteggiare la situazione, sosterrebbero legittimamente i responsabili delle cooperative. Da qui la difficoltà di pagare i dipendenti e provvedere per come si deve ad ogni altra necessità.

Sembra che altri fondi sono sospettati di aver preso la strada verso istituti di credito del Ruanda, per avviare attività di ristorazione oltre a qualche comprensibile umano capriccetto da levarsi.

Il processo accerterà le definitive responsabilità.

Come da giornali, si apprende che le cooperative sono state gestite dalla moglie e dalla suocera del deputato Soumahoro che, a difesa della propria onorabilità, in passato ha preannunciato querele contro chiunque tentasse di speculare sulla vicenda tentando di lederla.

Ora le due donne sono state poste agli arresti domiciliari. Soumahoro ha pertanto dichiarato di confidare nella legge. Parafrasando Flaiano potremmo dire che alle eventuali responsabili del reato contestato non resta che confidare piuttosto nella ingiustizia.

Lascia perplessi la giustificazione giocata in anticipo per cui “nonostante il rapporto affettivo” con la moglie e la suocera non sapesse nulla della conduzione delle Cooperative e delle difficoltà in corso.

Far correre la parola in famiglia è un ingrediente da non trascurare per la cura delle buone relazioni. Almeno con la moglie è auspicabile un rapporto più consistente del buongiorno e buonasera tra semplici conoscenti.

Dovrebbe sapersi, con l’esperienza in materia, che essere “stranieri” né fuori casa e tanto meno dentro casa non giova all’armonia.

Anche la Polverini, al tempo Presidente della Regione Lazio e dello scandalo Fiorito, si difese dicendo che non aveva idea cosa accadesse dalle sue parti.

Il mondo della politica e delle istituzioni ama talvolta la lettura di “Alice nel paese delle meraviglie”.

Questo puntuale senso di sorpresa lascia trasecolate possibilità di commento. Cadere dal pero può sempre lasciare qualche livido ai danni dell’inavveduto.

Se i fatti fossero confermati c’è da restare con la stessa bocca aperta di quelle degli ospiti del centro di accoglienza che chiedevano qualcosa in più da mettere nello stomaco. Aperta sarebbe la bocca della ingordigia delle presunte colpevoli.

Soumahoro, per la sua manifesta incapacità di conoscere almeno ciò che lo circonda, quel minimo di fatti della moglie e della suocera, dovrebbe avere la sensibilità di dimettersi per un profilo di opportunità che fa rima con dignità.

Ora è iscritto al Gruppo Misto della Camera dove gli sarà ancora più impegnativo vedere chiaro nelle cose e mettere a fuoco le identità, riconoscere i fatti e chiamarli per nome.

Gruppo è un insieme di persone, tutte distinte ma riunite insieme per formare un unicum. Saprà districarsi anche in un ambito così complesso.

Il “Misto” comporta un lavoro ancor più arduo per raccapezzarsi su un minimo comune denominatore, dove anche lì corri il rischio di non sapere bene dove sei e cosa fare

Anni fa in un Carosello, pubblicizzando un certo “brodo” il protagonista del fumetto che stava per essere sanzionato da un vigile per una infrazione commessa, si giustificava dicendo: “Mi non so, son forestiero, per me tutto va ben”. Sarà così.

Una precisazione: Caribù non si scrive con il “K”.