Possibile che la Dc coprisse l’eliminazione di Fidel Castro?

Suscita amarezza e sconcerto l’accostamento alle manovre della Cia di uno statista come Moro - lui sì vittima di trame internazionali - tanto più se lo propone una testata del livello di Repubblica.

Per quanto si possa familiarizzare con il moderno concetto di storia come storia delle interpretazioni, alcune di queste interpretazioni suscitano una certa meraviglia. Come quella contenuta nell’articolo apparso ieri su Repubblica a firma di Paolo Mastrolilli dal titolo “Roma, 1965. Quando l’Italia e la Dc coprivano i dissidenti cubani per uccidere Castro”. Sorprende l’arbitrarietà con la quale l’Autore pone delle relazioni tra un fenomeno che pure esiste, quello delle trame in Italia di servizi segreti (più o meno fedeli, talvolta apertamente deviati), americani e italiani, e i governanti dell’epoca con la formula da pool di Mani Pulite: “È altamente improbabile che non sapessero nulla”.

In tal modo, sulla base di documenti Cia desecretati che attesterebbero il fatto che dei cittadini cubani in Italia fossero stati attenzionati da spie americane in relazione a un presunto piano per assassinare Fidel Castro, si costruisce il messaggio della “copertura Dc” a una tale manovra e addirittura si fanno alcuni nomi, fra cui quello di Aldo Moro, che per il solo fatto di esser stati presidenti del consiglio a metà degli anni sessanta non potevano non sapere. Come se solo la Dc, e non l’insieme delle forze politiche e sociali, che operavano in quegli anni, fosse stata oggetto delle attenzioni dei servizi americani. Come se, ad esempio a Bologna, dove il Pci esprimeva il massimo della sua forza, non fossero stati disseminati centri americani il cui ruolo poteva andare anche al di là di quello ufficiale, nel monitorare il più grande Partito Comunista dell’Europa occidentale.

Va dunque respinta la narrazione di una Dc che offre coperture al piano della Cia per assassinare Fidel Castro. E il solo accostamento a queste manovre di uno statista come Aldo Moro, che fu, lui sì, una vittima di trame internazionali per eliminarlo, colpendo col sacrificio della sua persona una politica che aveva avuto importanti conseguenze sul piano interno e avrebbe potuto dare frutti di pace e di distensione sul piano internazionale, suscita amarezza e sconcerto, tanto più se a riportare tale tesi è una testata con la storia e la reputazione di Repubblica.

È appena il caso di ricordare che il pensiero di Moro, la sua concezione della vita sociale e della politica, e il metodo che ne deriva, risultano ancora di grande attualità in una fase nella quale “il moto incessante della storia” procede forse più speditamente ancora che negli anni già difficili in cui operò lo statista democristiano, ponendo alla politica inedite sfide. L’attenzione a ciò che si muove nella società non può, per Moro, essere disgiunta da quella per ciò che si muove nel mondo, e la politica non può stare separata dall’umano anelito alla libertà, alla giustizia e alla pace. Se manca quest’ultima condizione, la politica non riesce ad adempiere al suo compito in modo soddisfacente e capace di generare stabilità e progresso.

La lezione di Moro, anche nella sua concezione delle relazioni internazionali, ci aiuta a orientarci in questo cambio d’epoca che stiamo vivendo. A differenza di altri piani, di altre concezioni dei rapporti fra Stati Uniti e resto del mondo, che si sono imposte dalla fine della guerra fredda ad oggi (a volte anche forzando la volontà del popolo e del presidente americano di turno), e che sembrano aver reso più complicato il ruolo degli Stati Uniti e dell’Occidente in un mondo che tende a cambiare in un modo non controllabile da una sola parte.