Prigozhin ritorna al suo posto ma la Russia si scopre più debole

È difficile capire se Putin conservi intatto il suo potere. Su tutto domina l’interrogativo in ordine agli sviluppi della guerra, perché nel frattempo resta lontana la speranza di un cessate il fuoco.

Nelle cancellerie internazionali girava la voce di un possibile attacco alla leadership di Putin. Secondo il New York Times l’intelligence americana aveva raccolto informazioni precise. Il colpo di scena c’è stato ma dalla marcia su Mosca al dietrofront il passo è stato fin troppo breve: nell’arco di poco più di mezza giornata la “ribellione militare” – questo il capo d’accusa russo – di Yevgeny Prigozhin e della Wagner sembra essersi al momento esaurita senza tuttavia che siano chiare le esatte circostanze – e la durata – di questo esito a dir poco rocambolesco.

Annunciata ieri notte, la ribellione era iniziata con l’attraversamento della fortiera russa e l’arrivo a Rostov sul Don, confermato solo nelle prime ore della mattina in Italia; una posizione strategica, sia perché vi si trova il comando del distretto militare meridionale russo – e il principale hub logistico delle forze di Mosca impegnate in Ucraina – sia perché, con un milione di abitanti, non è un bersaglio attaccabile dall’esercito regolare senza conseguenze politiche gravissime per il Cremlino.

E il Cremlino ha rotto il silenzio solo alle 9 del mattino, in un breve discorso in cui Putin ha parlato di “pugnalata alla schiena” e di “tradimento”, richiamandosi alla Prima guerra mondiale piuttosto che alla seconda, e minacciando di farla pagare ai responsabili, Prigozhin in primis. Tuttavia, lareazione pratica delle autorità moscovite si è concretizzata nel rafforzamento delle misure antiterrorismo e poco altro: le colonne della Wagner sono perciò avanzate praticamente indisturbate (“senza versare neanche una goccia di sangue”, dirà poi Prigozhin) fino ad arrivare a 200 chilometri dalla capitale. Parallelamente, è partito il negoziato con il presidente bielorusso, Aleksander Lukashenko, con l’esito favorevole arrivato nel pomeriggio: il dietrofront di Prigozhin, “per non versare sangue russo”. Il Cremlino non ha commentato, né lo stesso Prigozhin ha fornito chiarimenti in merito ad eventuali garanzie sulla sua sicurezza personale. Men che meno sul quadro dinsieme di questa repentina contromanovra.

Secondo alcune testimoninze locali le forze della Wagner stanno quindi preparandosi a lasciare Rostov, ma quanto potrà durare questa situazione di calma apparente rimane ancora un mistero. È soprattutto difficile capire se Putin conservi intatto il suo potere. Dietro la mediazione di Lukashenko c’è indubbiamente la regia del Cremlino e dietro la ritirata di Prigozhin la conferma di un equilibrio di potere che poggia sul ruolo forte dei “nemici” del capo della Wagner, in primo luogo di Sergei Shoigu, ministro della difesa. E su tutto domina linterrogativo in ordine agli sviluppi della guerra, perché nel frattempo, quale che sia il contraccolpo del mezzo golpe fallito, resta lontana la speranza di un cessate il fuoco.