Tra i tanti meriti che non passano di moda della grande lezione storica e politica della Democrazia Cristiana, e dei democristiani, vi è indubbiamente quello del rispetto degli avversari politici.
Se la tradizione della sinistra italiana — e non solo di quella comunista e gramsciana — si è caratterizzata nel corso dei decenni per l’accanimento contro l’avversario, visto sempre e solo come un nemico da delegittimare moralmente e abbattere politicamente, la prassi concreta dei cattolici democratici, popolari e sociali è sempre stata, al contrario, quella di considerare l’avversario come un interlocutore da battere nel confronto democratico.
Il rispetto dell’avversario come stile politico
Un confronto anche duro e spietato, certo, ma attraverso gli strumenti della democrazia parlamentare e del voto. Al riguardo, non dobbiamo stupirci se oggi il campo della sinistra italiana — e, lo ripeto, non solo quello di derivazione comunista — continua a individuare nella controparte politica un nemico da criminalizzare.
Un fatto che non riguarda solo la sub-cultura grillina — ieri come oggi, una costante — ma che ormai accomuna l’intera area della sinistra, nelle sue varie espressioni: culturale, accademica, giornalistica, editoriale, televisiva e, soprattutto, giudiziaria.
Il caso Donat-Cattin: un nemico da eliminare
Certo, l’attacco personale non è affatto una novità nella politica italiana. Per fare un solo esempio concreto tra i molti che si potrebbero citare, è appena sufficiente ricordare il “trattamento” che fu riservato per svariati lustri al leader della sinistra sociale nonché statista della Dc, Carlo Donat-Cattin, lungo quasi tutto l’arco della sua militanza politica e istituzionale, da parte della galassia comunista dell’epoca.
Una gragnola di insulti, di attacchi personali e politici, di contumelie di ogni genere che lo individuavano come “Ministro dei lavoratori” da eliminare a tutti i costi. Al punto che la dirigenza comunista pose addirittura un veto politico e morale alla sua partecipazione ai governi di solidarietà nazionale.
Un’operazione che fu sventata solo grazie all’intervento autorevole e magistrale di Aldo Moro.
Quel “trattamento”, come ovvio, non fu riservato solo a Donat-Cattin, ma anche a molti altri leader democristiani, sebbene con minore virulenza e aggressività. Non dobbiamo quindi stupirci se la criminalizzazione politica e l’attacco personale continuano a essere una costante anche nell’attuale geografia politica. Un monopolio quasi genetico della sinistra italiana, ma che purtroppo oggi lambisce anche alcuni settori della destra.
La modernità del metodo democristiano
Ed è proprio alla luce di queste considerazioni — peraltro note e confermate dalla storia — che si torna alla riflessione iniziale: la bruciante attualità e modernità del metodo, della cultura e dello stile “democristiano”.
Perché, forse, è anche il caso di ricordare che quel metodo, quella cultura e quello stile rispondono a un sistema di valori che affonda le radici nella Costituzione repubblicana.
E, a volte, chi rispetta la Costituzione, i suoi valori e i suoi principi sono proprio quelli che non ne sbandierano quotidianamente la fedeltà, e soprattutto non impartiscono lezioni agli altri, accusandoli di alto tradimento o di incoerenza permanente e strutturale.