Racconto da Gaza City per abbozzare una morale straziante

La guerra non finisce per abulia o per stanchezza. Per la pace ci vogliono i vecchi, la fine di ogni fede e più di tutto l’amore per una gustosa sigaretta.

La stanza era spoglia, misera come chi la abitava ma assai simile a quelle di altre case di quel quartiere. La gente aveva uno stile dimesso, ben integrato con le mura segnate che accoglievano una umanità priva di fronzoli.

Non c’era competizione tra uomini e cose, tutto era coerente ad uno stile dimesso che non suscitava invidie a chi lo osservasse. Per chilometri e chilometri ogni casa era arredata appena con l’essenziale per sbarcare la giornata, non cadendo nel ridicolo di un passo avanti del tutto fuori luogo rispetto al circondario.

C’era solo una finestra che affacciava su un muro sempre pronto ad ingoiarla e che rifletteva la luce dopo una serie di infiniti rimbalzi così da farla arrivare esausta al suo ingresso dove l’attendevano con la inutile speranza fosse più forte del giorno precedente.

Là dentro due brande sdentate come i vecchi che sopra vi erano sdraiati. Le loro reti si erano smollate insieme alla ragione dei due di rimettersi ogni giorno in sesto per un girovagare che aveva perso di ogni mordente.

A dire il vero non sapevano più o forse non l’avevano mai saputo come mai si trovassero lì e pure gli era sconosciuto chi fosse l’altro. Forse insieme da un anno o forse appena da un giorno, amici da sempre o da mai, non avrebbero potuto giurare nulla al riguardo.

Erano nella crudele età di mezzo di quando hai ancora uno sprazzo di lucidità a farti compagnia o uno sprazzo di rimbambimento insieme al resto di presenza a te stesso.

Nell’incertezza non sapevano esattamente con chi prendersela se non fossero stati subito pronti a riconoscere la situazione per come era.

Si guardarono negli occhi per un tempo indeciso a prolungarsi o se finirla in quel momento. Giocare come il gatto con il topo con due male in arnese non è cosa di rispetto.

Borbottarono qualcosa, giusto per dire al silenzio che ancora non gli avevano rubato in tutto la parola.  Naturalmente nessuno comprese niente del biascicamento dell’altro.
Dovettero prima mettere a fuoco di appartenere a due popoli diversi e che le lingue per questo suonavano ciascuna con il suo vocabolario. Questo fu il primo ostacolo da superare. Riscontrare una differenza fu la complicazione non da poco con cui confrontarsi.

Per il resto erano identici in tutto. Le rughe si erano abbonate gratuitamente sulla loro pelle, approdando su un corpo senza subirne i reclami. Erano stese in attesa che altre arrivassero anche sui pensieri dei vecchi che rallentavano, giorno dopo giorno, la falcata indecisa circa qualcosa da dire su un mondo a vuoto di curiosità.

Finalmente si riconobbero malgrado fossero uguali soltanto negli acciacchi, che annullarono le differenze che dicevano la loro a dispetto di una età che porta tutti ad essere in qualche modo gemelli.

Furono dunque costretti a superare l’imbarazzo di quando non si sa se si tratti di una frequentazione antica o fossero per caso in quel momento l’uno contro l’altro.

Dovettero per questo venirsi incontro e usare quel tanto di parola che potevano comunemente comprendere, attingendo agli anni di esperienza consumati vivendo entrambi in terre di confine.

D’istinto decisero di non offendersi interrogando l’altro su che nome avesse o indagando sulla causa di quel fronteggiamento al momento insolito. Può darsi fossero amici da anni e non era il caso rischiare per un capriccio di curiosità di mostrarne la dimenticanza.

Fosse stato invece un incontro fresco di giornata, data la situazione, non era il caso di fare troppo gli schizzinosi. Si può essere sordi abbastanza per immaginare di sentire anche ciò che non arriva o sognare di prendere all’orecchio un suono che invece non c’è.

Nel loro caso, pur rifugiandosi di comodo in una demenza da prendere a prestito almeno per l’occasione, non poterono fingere di non capire.

Chissà da quanto tempo la terra aveva preso a tremare. Ormai non era più da farci caso. I palazzi avevano le convulsioni, vibrando i loro fusti non più all’impazzata come nei primi giorni di bombardamento.

Avevano assorbito un ritmo stabilito della coreografia propria delle circostanze, assecondando a turno il vibrato delle bombe che li scalfivano. Non c’era più alcuna forma di spasmo. Anche le mura hanno diritto a crollare ed a morire per rinascere insieme a nuovi padroni, in armonia con un ciclo che non ne mostri i segni definitivi del tempo.

Per rompere il ghiaccio non poterono far altro che scambiarsi una sigaretta senza dirsi troppe parole, giusto un minimo di fiato per ringraziarsi del fuoco che si erano passati per accenderla.

L’aspirarono con calma, con le pause richieste di come fosse l’ultima a spettargli pur avendo un pacchetto ancora pieno su cui appoggiare un vizio che sapeva di grazia.

Non si diedero alcuna fretta. Era adesso in loro potere mandare in fumo qualcosa, tutto attorno un altro fumo e polvere che entrava di sbieco, facendo ressa dalla finestra cercando riparo nella stanza per quanto fuori ci fosse una scottante aria di guerra.

Al termine della sigaretta avrebbero potuto riprendere quanto interrotto. Soltanto che non si trattò di una pausa che aveva spezzato un colloquio imbastito da chissà quanto.

Restarono invece zitti con la capacità rara di non fare commenti e neanche di pensarli. Erano lì fermi appartenendo ai fatti, non sgomitando per portarli da questa o quella parte, immobili e morti. Solo così accolti pienamente e non rintuzzati al pari di stranieri da ricacciare chissà dove.

Prima o poi tutto questo sarebbe finito e sarebbero tornati alle faccende quotidiane con cui avevano imparato a prendere confidenza dal giorno della loro nascita.

Tra queste era anche raccontarsi che la guerra, una volta per tutte, avrebbe spento i suoi bui fari smettendo di pavoneggiarsi. Lo dicevano per abitudine, perché è così che si dice ma non ci avrebbero scommesso un solo giorno ed un solo capello di quei pochi che gli restavano.

I due vecchi smisero di consumare il tabacco che si era fatto cicca tra le dita studiandosi appena per un attimo per dare esito al gioco di posizioni. Forse uno era ostaggio dell’altro, restava da stabilire chi fosse il guardiano e chi il prigioniero. O erano semplicemente insieme da tempo infinito, nella stanza solo per commentare la noia di qualcosa che conoscevano a memoria e che si erano stancati di accettare nel patrimonio delle cose ormai mischiate per abitudine nel loro sangue.

Nessuno sarebbe scappato e nessuno avrebbe rincorso. Concessero spazio, poco più di un farfuglio, a poche parole sufficienti per intendersi. Il vantaggio dei vecchi è di avere fiacco respiro a disposizione; quel poco se lo fanno bastare per andare subito al punto. Tolgono di mezzo gli aggettivi non avendo bisogno di spiegare quello che già si conosce fin dentro ai dettagli.

Evitano di prendere il discorso alla lontana non avendo voglia di entrare a forza nella comprensione dell’interlocutore, si limitano all’indispensabile riducendo al minimo lo spreco di energie.

Uno dei due fece accenno a quante ne aveva combinate fino a prima di mettere i capelli bianchi. Nulla di particolarmente eccezionale o che valesse tramandare, per eccezionalità, alle future generazioni. Insieme a tanti come lui si era sgolato per urlare contro gli oppressori, tante sassaiole e molotov per protestare.

Poi un giorno gli diedero una pistola in mano ed erano pronto a farne uso. Sparò ma non seppe mai se colse un bersaglio o se i colpi ferirono piuttosto la compattezza delle nuvole sovrastanti. Le ossa malconce ne avevano adesso ridotto l’azione.

Anzi aveva rinunciato a dire la sua perché non aveva più nulla da dire. Non era questione di sfiducia, di delusione per le batoste ricevute, per aver girato a vuoto per gran parte della vita.

C’era invece qualcosa che ora gli era chiaro e lo avviliva. Non poterne convincere il prossimo ancora fresco di giornata gli dava un senso di prostrazione che ne rendeva cieca la lingua. Che sibilava capace solo per quelli con il fiato stentato come il suo.

Nelle screpolate feritoie della sua pelle raggrinzita, accatastate alla rinfusa, erano alloggiate idee buone finché acquattate dentro la loro tana.

Finalmente il silenzio faceva giustizia sulla intemperanza degli anni precedenti. Era arrivata la stagione del riposo e con esso una lucidità impossibile da esportare fuori la punta del suo naso.

L’altro vecchio non gli fu da meno. Aveva ancora un occhio abbastanza svelto per poter cogliere il momento buono per scappare o per rincorrere chi avesse tentato la fuga. A dirla tutta non avrebbe fatto né questo né quello. Avrebbe lasciato andare l’evasore e neppure avrebbe abbandonato la stanza mettendo in affanno il suo carceriere.

Con le poche parole a disposizione per intendersi disse più o meno le stesse cose ma stando dall’altra parte della barricata. Non seguirono tra loro repliche od obiezioni.

Si strapparono una risata appena accennata quando convennero che in un mondo di vecchi non ci sarebbe stata mai alcuna guerra.

Erano entrambi alla finestra ammirando il fumo che ne nascondeva altro, svelandone la sorpresa appena al primo cenno di dissipazione di quello in prima fila. 

Essere appostati, sporgendosi verso un mondo che correva verso la salvezza non gli produceva alcun effetto. Chi partito prima o poi sarebbe tornato. Se non fossero stati gli stessi, la strada si sarebbe riempita di gente ugualmente anonima, conforme al destino di chi è condannato ad un movimento perenne, opposto a notizie sempre uguali anche dopo la loro prima stampa.

Tra le rovine delle mura ancora in piedi, gruppi di uomini, armi in mano, convinti di poter lasciare un segno sulla pelle del nemico. Adesso o dopo, loro od altri, ma l’avrebbero avuta vinta. Ogni guerra porta in dote l’annientamento dello sbadiglio delle ore consuete.

Ogni guerra si abbevera di un’energia che non ha tregua e che rintocca sempre più audace per ogni colpo schivato ed uno assestato. Si estingue davvero soltanto quando uno dei contendenti ha perso di adrenalina e comincia a stufarsi e fa finta di arrendersi o di vincere.

I due vecchi erano in attesa che tutto tornasse ad una normalità che li avrebbe incontrati ancora alla finestra, indispettita per essere stata riconosciuta con la sua forma nota, in grado di annichilire anche il brillare stupefacente di bombe sempre più forti.

Non c’è chi pianga per due vecchi stesi per terra, i corpi a lambirsi o nella peggiore della ipotesi a sovrapporsi. Poco sangue a macchiare per terra perché dalle teste dure c’è poco da cavare. Commenti precipitosi avrebbero sentenziato un amore per una casa che non si abbandona a nessun costo. Altri con maggiore realismo avrebbero deciso per un fisico poco agile per darsela per tempo a gambe.

Sarebbe rimasta per certo la stanchezza dei becchini ad arrampicarsi sulle pietre ammonticchiate dai soccorritori per prendere quei corpi di poco conto mettendoli al riparo della indifferenza di chi fosse passato da quelle parti.

La guerra non finisce per abulia o per stanchezza. Per la pace ci vogliono i vecchi, la fine di ogni fede e più di tutto l’amore per una gustosa sigaretta, questa sì qualcosa veramente da non uccidere.