Riforma fiscale, il no di Ragioneria generale dello Stato e FMI.

In sostanza, una flat tax sul reddito potrebbe comportare implicazioni avverse e provocare un significativo calo delle entrate e dell'equità. Si tratta di una vera e propria bocciatura.

 

 

 

 

Gli amministratori locali sanno perfettamente che se vogliono realizzare un’opera pubblica devono avere a disposizione nel bilancio le risorse necessarie, risorse che derivano dalle imposte pagate dai cittadini. Se non sono sufficienti, possono ricorrere a un mutuo, ma devono dimostrare alla banca che il Comune è in grado di pagare le rate per tutta la durata del mutuo, cioè che nei bilanci successivi ci saranno le risorse occorrenti. Se non riescono a dimostrarlo le possibilità sono tre: o si procurano le risorse con l’aumento delle aliquote delle imposte o eliminano gli sprechi o riducono l’evasione fiscale locale. Se nessuno di questi casi è fattibile, rinunciano all’opera.

 

In sostanza gli amministratori locali si comportano come fa ciascuno di noi quando pensa di fare una spesa, né più né meno; l’unica differenza sta nel fatto che gli amministratori pubblici amministrano i soldi di tutti i cittadini. Per questo motivo, a tutela degli amministrati, ogni decisione del potere politico è soggetta a verifiche tecniche obbligatorie di compatibilità finanziaria da parte del ragioniere capo e di legittimità da parte del segretario generale. Questa procedura è basata sui principi dell’ordinamento amministrativo nazionale e valgono per tutte le amministrazioni pubbliche, quindi anche per lo Stato.

 

Questa premessa è per evidenziare un preoccupante comportamento del governo, non coerente con i principi richiamati, a proposito del disegno di legge, approvato dal Consiglio dei Ministri 4 mesi fa e ora all’esame del Senato, sulla riforma fiscale. La Presidente del Consiglio sostiene che grazie a questa riforma “abbassiamo le tasse, aumentiamo la crescita e l’equità, favoriamo occupazione e investimenti” e che sarà premiata “la lealtà e la responsabilità del contribuente” (si ridurrà l’evasione).

 

Non entro nel merito delle singole proposte, anche se personalmente sono fortemente critico, rilevo soltanto che nella proposta governativa non sono indicate le risorse necessarie per finanziare questo progetto. Quindi il governo pensa a una riduzione delle imposte che manterranno inalterate le entrate nazionali, poiché non penso che voglia ridurre il finanziamento dei servizi pubblici. Pensa cioè a un imminente miracolo che però non ha convinto la ragioneria dello Stato che ha il compito per legge di verificare se i ddl hanno la necessaria copertura finanziaria. Il ragioniere capo dello Stato ha infatti già depositato al Senato puntuali osservazioni critiche: senza risorse le misure previste sono semplici dichiarazioni d’intenti, alcune misure determinano una perdita di gettito fiscale, etc. Il governo, anziché entrare nel merito dei problemi sollevati, ha fatto intendere che ha intenzione di sostituire l’attuale ragioniere dello Stato con qualcuno che sia, probabilmente, accondiscendente verso le politiche governative. È come se un amministratore comunale decidesse di licenziare il ragioniere capo del comune perché si rifiuta di dare un parere positivo sulla compatibilità finanziaria di una delibera in assenza di risorse. A nessuno verrebbe in mente di farlo.

 

Così giorno dopo giorno è sempre più evidente una preoccupante allergia del governo Meloni verso i controlli previsti dalle leggi e dalla Costituzione, sottintendendo una sindrome complottista e una logica padronale della politica; si pensi, ad esempio, alle critiche mosse alla Corte dei Conti o al presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione.

Le osservazioni del ragioniere dello Stato sulla delega fiscale non sono molto diverse da quelle formulate a maggio dalla Banca d’Italia: “Il modello prefigurato dalla delega fiscale come punto di arrivo – un sistema ad aliquota unica insieme a una riduzione del carico fiscale – potrebbe risultare poco realistico per un paese con un ampio sistema di welfare, soprattutto alla luce dei vincoli di finanza pubblica. La redistribuzione del prelievo deve principalmente avvenire attraverso il contrasto all’evasione; questo fenomeno, oltre che inaccettabilmente iniquo, distorce la concorrenza tra imprese e sottrae risorse che potrebbero essere utili anche ad alleggerire il carico tributario dei contribuenti in regola”. Osservazioni che provocarono una dura reazione dei ministri.

 

Le osservazione del ragioniere dello Stato sono le stesse formulate ieri dal Fondo Monetario Internazionale: una flat tax sul reddito potrebbe avere delle implicazioni avverse e portare a un significativo calo delle entrate e dell’equità. Continuare a rafforzare la compliance fiscale è necessario, aumentare la soglia delle transazioni cash e introdurre sanatorie sui debiti fiscali non è d’aiuto”. Per adesso il governo ha incassato il giudizio negativo del FMI e non poteva essere diversamente visto che ieri Giorgia Meloni è stata ricevuta da Joe Biden. È molto probabile però che nei prossimi giorni inizino gli attacchi al FMI da parte di qualche sottosegretario o ministro e si ritorni presto a parlare delle imposte come “pizzo di Stato”, che gli “italiani sono ostaggio dell’Agenzia delle entrate” e si riproponga la “pace fiscale” del ministro Salvini per i debiti dei cittadini verso il fisco sino a 30 mila euro pagando solo una parte del debito accertato.

 

C’è da chiedersi quando esploderà la rabbia di chi paga correttamente le proprie imposte, magari prelevate direttamente alla fonte, e deve anche pagare per conto degli evasori che fanno mancare 100 miliardi di euro alle entrate dello Stato? Quando smetterà il governo di diffondere la convinzione che evadere è estremamente conveniente perché prima o poi si pagherà qualcosa o addirittura nulla?