La Commissione Affari costituzionali della Camera ha approvato ieri il testo base della riforma di Roma Capitale, aprendo una nuova fase del confronto politico su un tema che da sempre attraversa la vita democratica della Repubblica.
A colpire è la larga convergenza, decisamente ambigua, che ha segnato la seduta conclusiva di ieri: Fratelli d’Italia e Partito Democratico, pur da prospettive differenti, hanno sostenuto l’impianto del provvedimento, provando a riconoscerne la valenza nazionale e la necessità di un aggiornamento del quadro normativo.
Bignami (FdI): “Una battaglia storica della destra”
“L’adozione del testo base per la riforma di Roma Capitale da parte della Commissione Affari costituzionali rappresenta un passo avanti concreto verso il pieno riconoscimento del ruolo speciale della nostra Capitale”, ha dichiarato Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera.
“Oltre a essere una battaglia storica della destra, sin dai tempi di Alleanza Nazionale, questo segnale di responsabilità istituzionale e di visione – ha aggiunto – va nella direzione da tempo indicata da Fratelli d’Italia: dotare Roma degli strumenti necessari per affrontare le sfide della modernità e valorizzare la sua funzione unica, non solo amministrativa ma anche culturale e internazionale”.
Con il nuovo provvedimento, ha proseguito Bignami, “si rafforza l’identità di Roma come cuore politico e simbolico della Nazione, garantendo poteri adeguati in ambiti chiave come mobilità, turismo, cultura e servizi. Fratelli d’Italia continuerà a sostenere con determinazione questo percorso, nella convinzione che una Capitale più efficiente e autorevole sia nell’interesse nazionale”.
Morassut (Pd): “Serve coerenza e sostegno finanziario”
Dalla parte opposta, ma con spirito costruttivo, il deputato Roberto Morassut ha espresso una posizione analoga, pur accompagnata da richiami di sostanza.
“Oggi, in Commissione Affari costituzionali della Camera, è stato adottato, come testo base dei lavori, il disegno di legge del Governo che è in realtà un testo concordato a livello istituzionale col Campidoglio. Per questa ragione – ha spiegato – abbiamo espresso una posizione favorevole”.
Tuttavia, ha aggiunto Morassut, “abbiamo sottolineato la necessità di dare rapido seguito a quella parte delle intese Governo-Campidoglio che prevedono la costituzione di una commissione paritetica per redigere una legge ordinaria che individui risorse e mezzi adeguati alle nuove competenze legislative. Soprattutto abbiamo chiesto che già in questa legge di bilancio ci siano risorse speciali per Roma Capitale. Solo in presenza di queste garanzie si potranno ritenere sincere le intenzioni di riformare davvero i poteri e le prerogative della Capitale.”
Un equilibrio istituzionale messo brutalmente alla prova
Dietro l’accordo politico, però, si cela una questione di equilibrio costituzionale e territoriale.
Roma, nel nuovo disegno, cessa di essere pienamente un comune, assumendo una configurazione istituzionale “sui generis” che ne altera la tradizionale identità civica. Il Campidoglio, simbolo storico dell’autonomia municipale, rischia così di perdere il prestigio di “primo Comune d’Italia”, trasformandosi in un ente speciale posto a metà tra la dimensione statale e quella regionale.
La Regione Lazio, a sua volta, viene deprivata del proprio baricentro politico e amministrativo, pur conservando la competenza in materia sanitaria e di programmazione territoriale. Ne deriva una frattura potenzialmente grave nel sistema delle autonomie, con effetti di squilibrio e sovrapposizione che difficilmente potranno essere sanati da semplici aggiustamenti tecnici.
Il nodo politico
In definitiva, la riforma appare come un compromesso tra interessi divergenti: da un lato la volontà di rafforzare Roma dotandola di maggiori risorse e prerogative; dall’altro, il rischio di svuotare di significato la sua identità comunale. Tutto questo porta allo slabbramento del tessuto istituzionale regionale, con Roma estraniata dal rapporto (storico e funzionale) con le province, quasi per un sussulto di improvvida autarchia muscolare. Si tratta di un imperdonabile errore di Gualtieri.
A conti fatti, non si rafforza Roma (se non illusoriamente) e s’indebolisce la Regione, in nome di un obiettivo finanziario più che istituzionale. Si potrebbe dire: per i soldi si sfascia l’onore del Campidoglio.