Ruolo sempre più importante del G77 con i suoi 134 stati

Dopo il vertice a L'Avana, le istanze dell'organizzazione del Sud Globale sono state portate all'ONU. Cogliere il nesso tra riformismo sociale e cambiamento internazionale è la sfida per i Popolari.

Il mondo che procede verso la multipolarità è un mondo a geometrie variabili, che da un lato vede crescere il numero dei soggetti che ambiscono a esercitare un ruolo globale, e che dall’altro non ama riproporre una rigida divisione per blocchi ma piuttosto appartenenze talora multiple, multi-allineamenti pragmatici in funzione di una comunanza di obiettivi da raggiungere.

Solo in questo senso si può dire che fra Occidente e BRICS+ si stia rafforzando il ruolo di un nuovo soggetto globale, il Gruppo dei 77, che a dispetto del nome coinvolge 134 stati del Sud Globale (che equivalgono a oltre i due terzi dei membri dell’Onu) e rappresenta 80% della popolazione mondiale. Il Gruppo dei 77 fu costituito nel 1964 come coordinamento economico fra Paesi non Allineati in ambito Unctad, l’agenzia ONU per l’integrazione dei Paesi in via di sviluppo. E nacque come messa in comunione di difficoltà di Paesi di Asia, Africa e America Latina con l’obiettivo di superarle. Un risultato raggiunto da alcuni Paesi, come la Cina che dal 1992 partecipa come membro esterno. Molto rimane da fare per superare gli squilibri. Per questo il G77 punta a trovare il minimo comune denominatore fra le istanze dei Paesi in via di sviluppo su questioni di rilevanza globale come commercio, ambiente, sviluppo sostenibile. A tal fine il 15-16 settembre scorsi a L’Avana (perché Cuba detiene la presidenza di turno) si è tenuto l’ultimo vertice del Gruppo dei 77, un evento che ha costituito, insieme al G7 di Hiroshima, al vertice BRICS di Johannesburg e al G20 di Nuova Delhi, uno dei maggiori forum di rilevanza politica globale dell’anno.

Non poteva pertanto mancare l’intervento del segretario generale dell’Onu António Guterres, che ha espresso sostegno alle richieste di adeguamento del peso dei Paesi del Global South nelle istituzioni globali, ricordando che molte istituzioni attuali, in particolare il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, sorsero “quando molti Paesi in via di sviluppo erano incatenati dal dominio coloniale e non avevano voce in capitolo sui propri affari o sugli affari globali”. La dichiarazione congiunta del vertice nella forma G77 + Cina, oltre a ribadire l’impegno per riformare il sistema economico e finanziario globale, sottolinea e ribadisce in particolare il riconoscimento di una via propria dei Paesi in via di sviluppo allo sviluppo sostenibile, che non può essere la stessa dei Paesi sviluppati, pur nella comune condivisione dei fini. Il summit della settimana scorsa ha contribuito  a rafforzare notevolmente il peso del G77 in seno all’Onu, insieme alla Global Development Initiative (GDI), il progetto all’interno dell’Onu promosso dalla Cina per lo sviluppo sostenibile del Sud Globale, ed ha consentito ieri al suo presidente di turno, il cubano Miguel Díaz-Canel durante il suo intervento alla 78ª Assemblea Generale ONU a New York di esprimere istanze condivise dai quattro quinti del mondo.

Anche in relazione all’ascesa del G77 credo non si debba commettere l’errore compiuto riguardo all’allargamento dei BRICS, quello di sottovalutarne la portata e il significato. Siamo in un mondo multipolare in cui, fortunatamente, l’impegno a costruire un futuro migliore e più giusto per tutti sembra prevalere ancora su un approccio di diverso tipo. Per consolidare questa tendenza l’Italia e l’Ue devono sforzarsi di improntare il dialogo e la collaborazione ai nuovi principi del multipolarismo, aggiornando e ampliando il concetto di comunità internazionale. Le forze politiche, a cominciare da quelle che fanno riferimento al centro, come i Popolari, hanno di fronte la sfida di saper cogliere l’analogia e la connessione che esistono, fra le dinamiche globali e quelle interne alle società nazionali, sapendo che sulla scia di relazioni più eque fra le nazioni possono rafforzarsi anche politiche per rendere più giuste le società dei Paesi ricchi. Il riformismo sociale non è disgiunto da quello internazionale. Non si possono criticare i partiti che tendono a rappresentare per lo più gli interessi delle Ztl, se non ci si sforza di abbandonare una visione delle relazioni internazionali, che nei fatti concepisce ancora  l’Europa, e l’Occidente, come una sorta di Ztl del mondo senza tenere in debito conto l’esistenza del Resto del Mondo.