Tornando a Crotone un anno dopo il naufragio di Cutro, in occasione della presentazione del rapporto Migrantes, Mons. Francesco Savino, Vice Presidente della CEI, riferendosi al decreto “Piantedosi-Salvini-Meloni” ha testualmente affermato: “Il decreto Cutro è non solo un’offesa ai morti nel naufragio di Steccato di Cutro ma è il
fallimento della politica e la morte della Ragione. A Cutro è morta l’Umanità”.
Le parole di Mons. Savino, direbbe l’illustre grecista Laura Pepe, sono alate: “Tagliano l’aria per andare diritto alla meta per far breccia nel cuore di chi le ascolta”.
Il messaggio di Mons. Savino ci spinge a fare qualche riflessione. È proprio vero che il naufragio di Cutro, con le tante storie di vite spezzate che forse potevano essere salvate, quindi con i provvedimenti conseguenti, rappresenta la “morte della Ragione”. Parafrasando, infatti, il titolo di una famosa incisione di Francisco Goya (“Il sonno
della ragione genera mostri”), si può senza dubbio ritenere che la fantasia dei nostri governanti, abbandonata dalla ragione morta o sopita, ha generato un provvedimento di emergenza, ovvero un autentico mostro giuridico che addirittura mutua, offendendolo, un nome evocativo di un luogo della Magna Grecia ove lo straniero era accolto ed ospitato in quanto protetto dalla divinità.
Ma i luoghi talvolta si incaricano di dimostrare che nell’uomo, forse nell’uomo più semplice, non scompare mai l’umanità! Vincenzo Luciano, pescatore di Cutro, uno dei simboli del naufragio è, senza volerlo, il testimone di questa forza dell’umano nell’uomo. La notte del 26 febbraio 2023 è stato il primo a dare l’allarme e a prestare i primi soccorsi e quindi a recuperare i corpi senza vita di bambini e di naufraghi. Da quel giorno ritorna sempre sulla spiaggia. Le sue parole, in un’intervista video, danno conto della sua profonda umanità: “Non è facile dimenticare quello che è successo. I ricordi restano. Non ho fatto più i bagni a mare perché ricordo i bambini morti. Non vado più a pesca… Non si può morire a 40 metri dalla spiaggia”. E aggiunge: “Domani, per ricordare un anno dalla tragedia, chiedo scusa ai parenti. Mi inginocchio per terra. Della politica e delle istituzioni non mi interessa nulla!”.
Vincenzo Luciano è altro rispetto alla politica perché con le sue parole, con il suo gesto, riesce a sentire il dolore degli altri e per questo esprime una profonda umanità.
Concludendo vorrei richiamare alla memoria un mito dell’antica Grecia, il Mito di Frisso ed Elle tornato di attualità perché un affresco che li ritrae è venuto di recente alla luce nel Parco Archeologico di Pompei all’interno dell’ormai famosa Casa di Leda. Nonostante i due millenni trascorsi, l’affresco, di notevole fattura, mostra Friso che tenta inutilmente di salvare la sorella che sta per affogare in mare. Gabriel Zuchtriegel, direttore degli Scavi di Pompei, ha così commentato l’evento eccezionale: “Quello di Frisso ed Elle è un mito diffuso a Pompei ma anche attuale. Sono due profughi in mare, fratello e sorella costretti a scappare perché la matrigna li vuole cacciare di casa, e lo fa con inganno e corruzione”.
Questo affresco ci racconta che le migrazioni non sono un fenomeno recente, frutto del malessere di vaste terre del nostro Pianeta, ma esse hanno radici molto più antiche. La mitologia greca è ricca di migranti, di morti e di naufraghi. Ma l’antica Grecia aveva elaborato una legge non scritta, una legge del mare, la cosiddetta filoxenia (accoglienza, ospitalità). Quando i naufraghi arrivavano sulle coste greche venivano accolti nel migliore dei modi. Si preparava per loro un banchetto, al termine del quale si poteva chiedere il nome dello straniero e da dove provenisse.
Vincenzo Luciano e i tanti cittadini Calabresi che si sono prodigati nel prestare assistenza ai migranti sbarcati sulle nostre coste sono i testimoni di questa legge non scritta. Le Istituzioni invece hanno scritto una legge ben diversa, che pretenderebbe di erigere in mare, nel Mediterraneo, un muro difficile da valicare.