Il mini test elettorale di domenica e lunedì ci hanno consegnato, per l’ennesima volta, un risultato abbastanza noto e collaudato. Ovvero, vincono le elezioni quelle coalizioni, quelle alleanze o quei candidati che trasmettono alla pubblica opinione un messaggio di moderazione, di buon governo e plurale. Senza estremismi e senza eccessiva radicalizzazione. Perchè dopo la sbornia populista, anti politica e demagogica di 5 stelle e con il progressivo, anche se ancora lento, ritorno della politica e delle sue categorie tradizionali, si ricomincia a vincere “al centro”. Questo non significa affatto che vincono e trionfano le forze centriste ma è indubbio che un’alleanza che non è sbilanciata eccessivamente a destra o a sinistra e che non presenta candidati a Sindaco o nei collegi uninominali politicamente molto radicalizzati, ha maggiori probabilità di vittoria.
Ora, che nel nostro paese si “vinca al Centro” e si “governi dal Centro” non è una gran novità. Perchè è una costante storica che accompagna e segna da sempre il sistema politico italiano a prescindere dal rapido cambiamento delle stagioni politiche e delle rispettive fasi storiche. Eppure questa costante politica e culturale resiste e obbliga gli stessi partiti, estranei ed esterni al patrimonio delle culture politiche centriste, e fare i conti con questa dinamica. Non è un caso che anche l’attuale governo guidato da Giorgia Meloni abbia impresso una svolta centrista sin quasi dal suo esordio con qualche stupore solo da parte di coloro che conoscono approssimativamente la storia democratica del nostro paese e le vicende concrete che ne hanno scandito i vari passaggi parlamentari.
Ed è proprio seguendo questa considerazione che emerge una domanda politica a cui, prima o poi, si dovrà dare una risposta concreta, coerente e convincente. Ovvero, ma com’è possibile se in un paese in cui si continua a “vincere al Centro” e a “governare dal Centro” non dar vita anche ad una forza politica schiettamente centrista, democratica, riformista e plurale? Ma com’è possibile, di conseguenza, che tutti coloro che si collocano o che si auto collocano con un po’ di fantasia al centro non siano in grado di tradurre questa domanda e questa richiesta in un progetto politico credibile e coerente? Cioè in un partito e, soprattutto, in un luogo politico?
Una domanda, lo ripeto, a cui prima o poi si dovrà pur dare una risposta politica ed organizzativa. Perchè non credo che le ripicche personali, le vendette e i pregiudizi ad personam possano essere gli elementi decisivi che bloccano il decollo di una formazione politica che, proprio dopo il “nulla della politica” incarnata dalla stagione populista di marca grillina, è sempre più gettonata e richiesta.
Una considerazione, questa, che dovrebbe far riflettere tutti coloro che vogliono battere la radicalizzazione dello scontro politico nel nostro paese e il consolidarsi di quel “bipolarismo selvaggio” che continua ad essere il tallone d’Achille che impedisce il vero rinnovamento della politica italiana da un lato e la stessa efficacia dell’azione di governo dall’altro.