Spagna, senza l’accordo tra popolari e socialisti si rischia di tornare alle urne.

Felipe VI non ha grandi spazi di manovra. Il braccio di ferro tra Feijoo e Sánchez può condurre alla paralisi. Nessuno esclude che alla fine si debba ricorrere a nuove elezioni.

Entrano nel vivo le consultazioni al Palazzo della Zarzuela. Il re Felipe VI incontrerà oggi i due maggiori partiti, PP e PSOE, entrambi intenzionati a far valere le rispettive ragioni in funzione dell’incarico per la formazione del nuovo governo. La scelta del sovrano si esercita sulla base dell’articolo 99 della costituzione e non è condizionata da altri soggetti istituzionali. La Presidente del Congresso (equivalente alla Camera dei Deputati), Francina Armengol, eletta nei giorni scorsi a seguito dell’accordo tra le forze di sinistra e i gruppi autonomisti, in particolare con i catalani di Puigdemont, può solamente regolare l’agenda per la presentazione dell’esecutivo. Non ha margini per intervenire nella designazione, come pure era stato accennato impropriamente da qualche commentatore italiano.

La soluzione non si presenta facile. Il Popolare Feijoo e il socialista Sánchez, Premier uscente, non sono in grado di fornire assicurazioni circa l’esistenza di una maggioranza a loro sostegno. Sulla carta i numeri potrebbero anche esserci: Sánchez conta di stabilizzare il rapporto con i catalani e raggiungere, in questo modo, i fatidici 176 voti. Se ciò non fosse, allora Feijoo avrebbe motivo di rivendicare l’incarico in virtù del fatto che il suo partito ha più seggi al Congresso, controlla il Senato e governa importanti Regioni, a partire da quella di Madrid. Potrebbe chiedere l’incarico con l’obiettivo di formare un governo di minoranza, in qualche modo garantito da un ipotetico atteggiamento di bon ton dell’opposizione socialista.

In questo conteso s’inserisce l’iniziativa di un migliaio di professori universitari, intellettuali, uomini d’affari, economisti, ingegneri e giuristi; un’iniziativa denominata “Consenso e Rigenerazione” che muove dalla preoccupazione per l’acuirsi della dialettica tra le due grandi compagini politiche, con il rischio che il tessuto democratico e costituzionale possa indebolirsi pericolosamente.     Dubqye, ergendosi a difensori della Costituzione, hanno firmato un manifesto – diffuso ieri, all’inizio cioè del giro di consultazioni del Re con i partiti – in cui chiedono al PP e al PSOE di “recuperare la cordialità politica” e aprire un processo di dialogo per evitare che la governabilità della Spagna dipenda da “opzioni estreme o da indipendentisti”.

Il documento esorta i due partiti maggiori a “intavolare un dialogo volto a forgiare accordi […] per i quali la diversità ideologica e il pluralismo non siano un ostacolo per capirsi e per concordare politiche fondamentali nell’interesse di tutti gli spagnoli e della nostra stessa democrazia”. In aggiunta Joaquín Villanueva, coordinatore dell’iniziativa, ha dichiarato a El Mundo, il secondo quotidiano dopo El Pais: “La Spagna ha bisogno di un accordo anche per portare avanti riforme come l’istruzione o le pensioni, che possono essere fatte solo con il concorso dei due grandi partiti”.

Questo è il quadro. Può darsi che il Re, finite oggi i colloqui, prenda ancora del tempo per valutare bene a chi conferire l’incarico. L’invito a non accelerare è venuto dal PNV, il partito basco di antica ascendenza democratico cristiana. Tuttavia il tempo a disposizione non è infinito, considerando pure che le urne hanno dato il loro verdetto due mesi fa. Nessuno esclude che la matassa s’ingarbugli e alla fine, come unica soluzione, non rimanga che il ricorso a nuove elezioni, probabilmente a dicembre.