Padre Francesco Occhetta, scrittore de La Civiltà Cattolica, nella “nota di politica” pubblicata sul numero di novembre di Vita Pastorale scrive che “La Corte ha chiesto al Parlamento di intervenire rapidamente, perché è cosciente di aver creato una crepa in una diga che potrebbe esplodere e cancellare con il tempo le condizioni restrittive imposte secondo l’antico principio de iure condendo”.
Nella sua nota il gesuita evidenzia che: “morire con dignità significa per la persona malata nella fase terminale della malattia il diritto a una assistenza rispettosa che risponda ai bisogni assistenziali della sua dimensione biofisica, ma anche a quelli delle sue dimensioni biografiche, come quelle psicologiche e spirituali”. La sua convinzione è che “gli elementi per un dibattito maturo in Parlamento ci siano tutti”. E avverte che “non si controlla la morte attraverso la ‘cultura’, pensando di ignorare la ‘natura’ con le sue leggi”.
“L’orizzonte antropologico per rispondere alla cultura del suicidio assistito deve essere quello della solidarietà e dell’aiuto concreto e possibile: la guarigione può solo essere interiore quando il corpo si sgretola. È questa la sfida del Parlamento: garantire sia la cura e la relazione data nel morire sia l’aiuto concreto alle famiglie”.