Sul Primo Maggio il governo Meloni va fuori centro

Quello che ci si deve attendere è che il governo, dopo aver riconosciuto la gratuita mancanza di rispetto al Primo Maggio, si proponga di avviare un dialogo sociale serio sulle misure adottate.

Giuseppe Davicino

Al di là del merito, il Consiglio dei Ministri di oggi, convocato deliberatamente e con intenti di sfida il giorno del Primo Maggio, risulta, per il modo con cui è stato sbandierato, inopportuno e costituisce un grave errore politico.

Non si era mai visto sinora un governo così ossessionato dalla comunicazione al punto da farsi guidare più da social manager a caccia di “like” effimeri che dal buonsenso politico in occasione di una giornata così sentita e così evocativa come la Festa del Lavoratori. Un Esecutivo che entra così a gamba tesa nella ricorrenza che è del popolo del lavoro, delle organizzazioni sociali che lo rappresentano, mostrando di voler occupare uno spazio che non è il proprio, non nascondendo l’intento di oscurare quello dei naturali protagonisti della festa del lavoro, dimostra una preoccupante lacuna nel rispetto della distinzione fra il campo della politica e quello della società civile.

Le modalità sbagliate con cui il governo Meloni ha inteso gestire il “decreto lavoro” si sono  tramutate in un vistoso assist per l’opposizione che coglie nel segno quando le definisce una provocazione, come ha fatto la segretaria del Pd Schlein, sia nel metodo che nel merito. Quello che ci si deve attendere è che il governo, dopo aver riconosciuto questa gratuita mancanza di rispetto al Primo Maggio, si proponga, come auspicato dal segretario Cisl Sbarra, di avviare un dialogo sociale serio, oltre l’estemporanea convocazione dei sindacati alla vigilia del cdm odierno.

I provvedimenti annunciati dal governo in materia di lavoro andranno calibrati nel concreto in rapporto a molteplici esigenze quali la riduzione della precarietà del lavoro e della disoccupazione, l’adeguamento dei salari all’inflazione per sostenere le famiglie e la domanda interna, con particolare attenzione agli stipendi più bassi e al lavoro povero.

Tenendo conto del fatto che la coperta è stretta. I margini di manovra per la leva fiscale sono esigui. E la premier di ritorno da Londra, avrà avuto modo di rinfrescare il ricordo del governo britannico di Liz Truss, il più breve della nazione, naufragato proprio sullo scoglio della riforma fiscale. La Meloni ha dalla sua parte il fatto di aver saputo mantenere un rapporto di collaborazione con l’Ue, una gestione dei conti pubblici rassicurante per i fatidici mercati, di aver proseguito il piano avviato dal suo predecessore per l’indipendenza energetica del Paese, che si sta trasformando addirittura in un hub energetico continentale, e proseguito ad aumentare la quota  del debito pubblico collocato ai risparmiatori italiani. C’è un equilibrio, una solidità di fondo del sistema Paese, che è merito di tutti, e non solo della politica, che fa ben sperare per la ripresa economica, con più opportunità di lavoro e con retribuzioni migliori per la classe media, invertendo la tendenza al suo declino. Però il metodo per conseguire tali risultati non va bene: oggi, un governo che su alcune questioni cruciali aveva dimostrato di sapersi spostare al centro, non ha fatto centro.