Tajani condanna all’irrilevanza un centro impaniato nelle contraddizioni della destra

Forza Italia oggi ha un peso relativo. Senza un progetto forte, paga l’asservimento alle dinamiche di una destra incapace di fare chiarezza al proprio interno e nei rapporti con l’Europa.

A destra s’ode uno squillo di tromba. Che cosa annuncia? Antonio Tajani, parlando a Monza nel corso di una manifestazione elettorale di Forza Italia, ha detto che l’adesione al Partito Popolare Europeo “è un grande valore”, tanto da aggiungere subito appresso: “Noi siamo gli unici in Italia a rappresentarlo”. Il messaggio vuole essere chiaramente un appello a serrare i ranghi sotto le bandiere del partito che in Europa, dopo aver accantonato la funzione di rappresentanza delle forze democratico cristiane, ha preso a cuore l’esigenza di rappattumare i moderati e i conservatori di vaga tendenza centrista presenti nei Paesi dell’Unione. Per questa scelta, contestata a suo tempo dal Partito Popolare Italiano e tradotta successivamente in una dolorosa rottura, è andato manifestandosi passo dopo passo un insieme di equivoci e contraddizioni a carico della immagine stessa del PPE, come è avvenuto in effetti per il “caso Orbán”, risolto solo ultimamente e a fatica con il provvedimento di espulsione. 

Difendere la tradizione del popolarismo, quella propriamente italiana che va da Sturzo a De Gasperi e da Dossetti a Fanfani, e quindi a Moro, è un impegno reso molto complicato dalla diaspora susseguente alla dissoluzione della Democrazia cristiana. Ciò non toglie, tuttavia, che un principio di continuità debba essere salvaguardato in un quadro di assoluta novità, badando a non trasformare con indebita manovra i popolari che proprio Sturzo, nel memorabile discorso di Caltagirone del 1905, definiva “democratici” per distinguerli dai cattolici “conservatori”, descritti addirittura come “fossili”.   

Sta qui la distanza, non solo sul piano ideale. Infatti, valgono anche motivazioni più specifiche, legate alla critica del presente. Tajani volta le spalle alla realtà e parla di un centro, identificato con Forza Italia, come “punto di equilibrio della politica italiana”. In verità, nell’attuale coalizione di governo si fatica a cogliere questa rivendicata centralità: in Parlamento la pattuglia degli Azzurri ha un peso relativo, piuttosto a menare le danze è la premier Meloni. La realtà, volutamente ignorata, parla di una destra di governo che si macera in un dissidio gigantesco, perché da un lato vorrebbe (con Salvini) esportare in Europa l’anomalia italiana – tutti uniti, a destra, contro i socialisti – ma dall’altro preferirebbe (con Tajani) la dissimulazione, ben sapendo che pure i cristiano democratici tedeschi si oppongono alla contaminazione con i sovranisti alla Le Pen o peggio alla AfD (la destra radicale incombente sulla Germania).

Dov’è il punto di equilibrio? La pretesa di Forza Italia è di fungere da garante in Europa, immaginando che la Lega pieghi la testa di fronte a un accordo ristretto all’ipotizzato asse tra Popolari e Conservatori, senza i sovranisti. Se ciò avvenisse, sarebbe un colpo durissimo alla credibilità dell’alleanza che regge il governo Meloni. È questo l’obiettivo di Tajani, cambiare cioè l’equilibrio attuale modificando la composizione della maggioranza? No, non è questo. Più volte, infatti, il titolare della Farnesina ha dichiarato che Forza Italia lavora per la stabilità del quadro di governo, escludendo l’eventualità di un redde rationem con la Lega. Allora, l’esito di questa politica non può che essere la contraffazione del centro, poiché verrebbe a proporsi, secondo lo schema di Tajani, in termini di asservimento alle dinamiche scomposte e dannose di una destra incapace di fare chiarezza al proprio interno e nei rapporti con l’Europa, e perciò votata a proseguire sul sentiero dell’ambiguità.

Il centro invece, a intenderlo come piace a noi, reclama una serietà maggiore.