Ucraina, il coraggio di inventare la chiave per la pace.

Tutt'altro che utopia il negoziato sostenuto dal Papa L'Occidente è a un bivio: o sarà all'altezza delle sfide oppure rischia di rimanere prigioniero di visioni desuete che lo condanneranno alla marginalità.

L’intervista di Papa Francesco alla Radio Televisione Svizzera (RSI) nella quale il pontefice ha sostenuto, riferito alla situazione ucraina, che si deve avere il coraggio di negoziare, ha avuto una vasta risonanza a livello internazionale, rompendo, almeno per un po’, una narrazione a senso unico che, a ben vedere, sembra non render pienamente conto nemmeno di quella che è la reale posizione dell’Alleanza Atlantica e dei Paesi che la compongono, sul conflitto.

Le cancellerie dei Paesi Nato infatti, sono perfettamente consapevoli della delicatezza della situazione, del suo progressivo degrado dalla fine del primo decennio del Duemila ad oggi. E sono consapevoli anche di aver dovuto agire, in ogni tappa di questo percorso verso la guerra, di fronte a fatti compiuti, causati probabilmente più da interessi di potenti gruppi privati che da una reale volontà di Stati Uniti e Russia di confrontarsi utilizzando l’Ucraina. Significative a questo proposito appaiono le recenti dimissioni dall’Amministrazione Biden di Victoria Nuland, (sposata con Robert Kagan, neoconservatore e teorico del nuovo secolo americano, e delle guerre necessarie a consentirlo che l’America di Bush junior dopo la sua prima elezione era restia ad intraprenedere), che è stata assistente per l’Europa al dipartimento di Stato durante l’Amministrazione Obama, ritenuta da molti osservatori la figura centrale nel provocare un epilogo cruento nei delicati equilibri dell’Ucraina post sovietica. Queste dimissioni sono state interpretate come un segnale inequivocabile dell’orientamento degli Stati Uniti a guardare ad una soluzione diplomatica del conflitto ucraino, dopo le prossime  presidenziali, a prescindere da chi sarà il vincitore, e a prescindere, naturalmente, dall’Unione Europea in un’intesa diretta fra Washington e Mosca.

Dunque, considerando che non vi è alcun scontro fra civiltà ma la comune preoccupazione di uscire da una spirale potenzialmente capace di innescare un conflitto su vasta scala in Europa, le osservazioni formulate dal Papa nell’intervista alla RSI, rilanciano considerazioni che sono ben presenti sui tavoli della diplomazia come su quelli delle strategie militari. Il negoziato, a fronte di una valutazione dell’andamento della guerra, è un’ipotesi che non ha mai smesso di circolare e che solo un milieu mediatico egemonizzato dalle centrali neocons ha preferito sottacere in favore della estremizzazione dei toni necessaria per alimentare la retorica bellicista.

Nell’intervista alla RSI il papa ha ricordato un altro aspetto fondamentale: che il negoziato è possibile “con l’aiuto delle potenze internazionali”. Ovvero , che non c’è nel mondo un clima da scontro all’ultimo sangue ma che anche le potenze non coinvolte nel conflitto hanno interesse a una soluzione diplomatica. E questo implica però quello che può esser considerata la chiave per superare tanto il conflitto ucraino come gli altri “pezzi” di quella guerra mondiale latente denunciata da Francesco sin dall’inzio del suo pontificato. Questa chiave è costituita dalla disponibilità degli Stati Uniti e dell’Ue di partecipare alla costruzione del nuovo mondo multilaterale che sta sorgendo, in un quadro di cooperazione nella sempre valida cornice dei principi e dei valori universali sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite. L’Occidente è a un bivio: o sarà all’altezza  delle sfide di questo secolo oppure rischia di rimanere prigioniero di visioni e strategie desuete che lo condanneranno alla marginalità. E ciò vale soprattutto per l’Europa.

In questa prospettiva, sembra un paradosso ma non lo è, appaiono perfettamente convergenti le affermazioni del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg rese ieri a commento dell’intervista del Papa in occasione della cerimonia di ingresso della Svezia nella Nato: “la resa non significa pace”. Infatti, in mancanza di un accordo strategico su un nuovo meccanismo di governance globale fra Occidente e Resto del Mondo, anche le trattative sull’Ucraina si rivelerebbero fragili. Perché se le parti non si considerano sicure – l’Europa teme l’invasione russa e la Russia teme che l’Occidente punti a disintegrarla – allora non appena messe a tacere le armi in Ucraina, potranno rispuntare i conflitti caucasici, quelli centroasiatici, quelli balcanici. Per la pace occorre innanzitutto un accordo di coesistenza e di cooperazione fra le potenze di questa nuova epoca, la prima dopo circa mezzo millennio, caratterizzata dalla fine dell’egemonia occidentale.