Se è vero, com’è vero, che lentamente sta ritornando la politica dopo il trionfo della sub cultura populista di marca grillina – e quindi anche il ritorno dei partiti e le tradizionali culture politiche, seppur aggiornate e riviste – è indubbio che i valori di riferimento saranno sempre più decisivi e determinanti nell’orientare e poi nel condizionare le stesse scelte politiche. Valori, principi, riferimenti ideali ed etici che, prima o poi, non potranno non essere centrali anche per dispiegare i progetti politici dei singoli partiti.
Detto questo, è abbastanza evidente, se non addirittura plateale, che un primo assaggio concreto l’abbiamo avuto proprio la settimana scorsa attorno a temi che non sono affatto secondari ai fini dell’elaborazione progettuale e squisitamente politica dei partiti. Di tutti i partiti. Mi riferisco, nello specifico, ai temi legati alla crisi demografica, alla caduta verticale della natalità, al ruolo della famiglia, alla crisi degli stessi istituti centrali del cosiddetto “stato sociale”. Insomma, temi e argomenti che, da soli, richiedono ed invocano scelte politiche, culturali e sociali precise, nette e chiare. Scelte e progetti che, semprechè si esca dall’ordinaria amministrazione e si passi alla progettualità della politica, segnano anche visioni diverse della società e del suo futuro.
E la doppia manifestazione, casualmente culminate nella stessa giornata, a Roma all’Auditorium della Conciliazione con Papa Francesco e con la presenza autorevole e significativa della Premier Giorgia Meloni e a Torino al Teatro Carignano con un folto gruppo di Sindaci provenienti da tutta Italia e con tutta l’area “LGBT” del nostro paese con relativi sponsor mediatici ed intellettuali, ha offerto anche plasticamente la presenza di due mondi che indubbiamente si confrontano ma che hanno al loro interno sensibilità e culture profondamente diverse, se non addirittura alternative. Una distanza culturale e valoriale che non può non avere anche una profonda ricaduta nel momento in cui si passa alla costruzione delle scelte politiche che siano in grado di affrontare e, possibilmente, di portare un contributo concreto per la soluzione di quei problemi.
E, per rifarsi ad una terminologia del passato ma sempre attuale e moderna, si può tranquillamente sostenere che ci troviamo di fronte – e finalmente – a “progetti di società” che difficilmente possono essere conciliabili. Certo, la politica, almeno la politica che concepiamo noi cattolici democratici e popolari, non è mai l’esaltazione della radicalizzazione e della polarizzazione ideologica tra le varie posizioni in campo. Tesi, questa, cara ai sostenitori del “bipolarismo selvaggio” e della sub cultura degli “opposti estremismi” sponsorizzata dal “nuovo corso” del Pd di Elly Schlein e da alcuni settori, seppur limitati, del centro destra. Ma anche la coltivazione della “cultura della mediazione” e la fecondità del metodo del dialogo e del confronto, non possono non prendere atto che ci troviamo di fronte a due universi valoriali che impongono scelte politiche e legislative alternative altrettanto chiare e nette.
Ora, respingendo fermamente qualsiasi tentazione confessionale o, peggio ancora, di natura clericale, è indubbio che il ruolo, la funzione e la stessa mission” – ispirati alla più rigorosa laicità dell’azione politica – dei cattolici popolari e democratici non possono continuare ad essere sacrificati sull’altare di un maldestro nuovismo o, come pare di capire in alcuni settori di questo mondo, rassegnarsi alla “ragion di partito” e, di conseguenza, accettare di giocare un ruolo del tutto marginale se non addirittura irrilevante e pertanto inutile nella cittadella politica italiana. Il caso del “nuovo corso” politico del Pd al riguardo, è persin troppo facile da evocare alla luce dei pronunciamenti pubblici – e del tutto legittimi, come ovvio e scontato – della sua segretaria nazionale.
E allora, c’è una domanda di fondo a cui prima o poi occorrerà dare una risposta politica coerente, coraggiosa e soprattutto chiara. E cioè, di fronte a due universi valoriali, a due approcci radicalmente alternativi, a due culture forse inconciliabili, cosa possono fare i cattolici popolari, democratici e sociali che non intendono svendere la propria identità pur di conservare il proprio piccolo tornaconto di potere nelle istituzioni o nel partito? La risposta, che indubbiamente è complessa e articolata, non può che essere una. Ovvero, contribuire ad elaborare un progetto politico – seppur con altre culture e sensibilità ideali – che non siano però in aperto contrasto con la propria identità. Culturale, politica, sociale e quindi storica. Perchè nel momento in cui si rinuncia definitivamente alla propria identità si corre solo il rischio, anzi la certezza, di diventare politicamente irrilevanti nonchè inaffidabili e culturalmente insignificanti. Un doppio rischio che, oggi, i cattolici popolari e democratici non possono più correre.