VP Plus 162 | Riflessioni sulle campagne elettorali negli Stati Uniti.

Aveva ragione uno dei primi strategist delle campagne elettorali americane, Mark Hanna: fu lui a dire “in politica contano due cose: una sono i soldi; l’altra non me la ricordo”.

Mattia Diletti

Della stagione elettorale americana il pubblico europeo percepisce in primo luogo il confronto fra personalità. I due candidati che si sfidano per competere alla carica politica più importante del mondo – o almeno così viene descritta dal luogo comune giornalistico, che andrebbe demistificato per dare conto di quanti limiti il sistema liberal-democratico americano ha posto attorno al suo Presidente – sono la notizia che il nostro pubblico percepisce. Negli ultimi anni però, soprattutto a partire dal 2016, l’anno della vittoria elettorale di Donald Trump, anche la nostra narrazione giornalistica si è concentrata di più sul tema delle “due Americhe”, ovvero della polarizzazione politica e culturale che attraversa la società degli Stati Uniti. L’estremismo politico di matrice populista di Donald Trump ha riportato il tema del rapporto fra società e politica al centro dell’attenzione: che cosa motiva decine di milioni di americani a votare un candidato apparentemente anti-establishment? Perché è più popolare nel voto anziano, fra gli uomini, nei piccoli centri, fra gli evangelici, fra i bianchi con meno scolarizzazione…e quale società vota e si mobilita nel campo avverso, quello del Partito democratico?

La vittoria di Trump ha reso più evidenti le fratture sociali, culturali ed economiche che attraversano gli Stati Uniti. Gli specialisti se ne sono sempre occupati, ossessionati dagli incroci fra variabili – istruzione, razza, reddito, confessione, età… – e dalla mole di dati statistici e di rilevazioni di opinione che gli Stati Uniti hanno sempre prodotto; la conflittualità dell’ultimo decennio ha reso il tema di dominio pubblico, ed è quindi tornato di grande interesse il rapporto fra politica e società. Non solo la società genericamente intesa, ma la società organizzata che si attrezza per sostenere un candidato o l’altro. Se è vero che il voto è una scelta individuale e che il risultato elettorale è dato dalla sommatoria di milioni di scelte individuali, il campo da gioco – i temi che emergono, le identità che irrompono sulla scena elettorale e che aiutano a disciplinare i comportamenti di voto – sono un mix di strategia dall’alto (“l’offerta” del candidato) e strategia dal “basso”, o quantomeno esterna all’arena della rappresentanza politica.

Negli Stati Uniti il rapporto fra società organizzata ed eletti è un rapporto di tipo pattizio. Pensate, per esempio, al sostegno pubblico che il Presidente Biden ha dato nel 2023 – come mai era accaduto prima – ai sindacati del settore automobilistico in sciopero contro le grandi aziende del settore. Un sostegno che i sindacati non dimenticheranno (anche perché hanno vinto), trasformandosi in elettori, finanziatori e attivisti della campagna elettorale di Biden nei mesi di settembre e ottobre del 2024. Un endorsement pubblico ma soprattutto pratico/organizzativo. I partiti sono “candidate centered”, cioè centrati sull’autonomia del candidato – che si deve conquistare il proprio posto al sole nella competizione del collegio uninominale, per di più trovando i fondi per la propria elezione da solo – ma queste “ditte individuali” della rappresentanza politica devono trovare degli azionisti di riferimento.

 

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