L’Autorità per la garanzia delle comunicazioni (Agcom) monitora le trasmissioni televisive per verificare il rispetto del pluralismo politico e periodicamente pubblica i risultati sul suo sito. I dati del mese di aprile sono preoccupanti perché la destra ha avuto un “tempo di parola” (tempo per parlare direttamente ai microfoni) notevolmente superiore alla sua rappresentanza parlamentare e quindi a discapito delle opposizioni parlamentari.
Nei quattro Tg della Rai (tg1, tg2, tg3 e rainews24) la maggioranza ha parlato per 9 ore e 23 minuti così ripartiti: Meloni 2 ore e 9 minuti, governo 4 ore e 7 minuti, esponenti dei partiti di maggioranza 3 ore e 7 minuti. Le minoranze hanno parlato per 4 ore e 59 minuti. La destra ha utilizzato il 63,5 % dello spazio per dichiarazioni, spazio che avrebbe invece dovuto essere del 56/57%. La maggioranza si è cioè impossessata di un ‘tempo di parola’ di 1 ora e 15 minuti che sarebbe spettato alle minoranze.
I Tg della Rai si stanno così avviando a conformarsi ai quattro Tg di Mediaset, arcinota società privata. Ai microfoni di tg4, tg5, studio aperto e tgcom24, la maggioranza ha parlato per 17 ore e 53 minuti, la minoranza soltanto 6 ore e 25 minuti. Così la maggioranza ha occupato il 73,6% degli spazi e la minoranza ha potuto parlare soltanto il 29,5%. La destra ha così sottratto alle minoranze 4 ore e 10 minuti.
In sostanza dai Tg Rai e Mediaset non è garantita un’informazione equilibrata e il rispetto della parità di trattamento tra i soggetti politici, che tenga conto del grado di rappresentatività parlamentare e dell’autonomia editoriale e giornalistica. Si sta così instaurando un dominio della destra su tutte le televisioni che è una lesione al principio del pluralismo informativo sul quale sono fondate le democrazie.
Queste considerazioni riportano al dibattito sulla disciplina del sistema radio televisivo che si concluse con l’approvazione della legge Mammì (1990), la quale si limitò a consolidare il duopolio Rai – Fininvest. Allora la sinistra democristiana contrastò quella legge, fino al punto in cui cinque ministri del governo Andreotti si dimisero (Mino Martinazzoli, Sergio Mattarella, Calogero Mannino, Carlo Fracanzani e Riccardo Misasi). L’onorevole Guido Bodrato, allora vice segretario della DC, guidò quella battaglia con acute riflessioni, tuttora valide, sul rapporto tra pluralismo informativo e sistema politico. Vi sottopongo uno stralcio di un suo articolo che sintetizza il contenuto e il valore di una battaglia, da riprendere, a difesa della democrazia, della libertà, del pluralismo e anche dell’economia di mercato, contro le posizioni dominanti.
Guido Bodrato
Libertà di Stampa, pluralismo, democrazia
(La Discussione del 16/12/1989)
Con il graduale costituirsi della società contemporanea, si è venuto definendo anche il ruolo della stampa come “quarto potere”. La crescente complessità del sistema dell’informazione e dell’affermarsi della televisione hanno poi fatto parlare di “persuasione occulta” ed hanno messo in evidenza la capacità dei media di influire sulle scelte e sui comportamenti della gente. Si è infine richiamata l’immagine della “grande sorella”, proprio con riferimento alla pervasività della comunicazione televisiva, che in qualche misura ripropone l’idea totalizzante del “grande fratello” di Orwell, ma in una concezione meno negativa.
Il rapporto tra informazione e politica diventa così, specie con il consolidarsi della società dei consumi e con l’intreccio sempre più stretto tra potere economico e potere politico, sempre più ambiguo. La politica, quando prende la forma di un “regime”, s’impadronisce dell’informazione e la trasforma in propaganda; all’opposto il potere economico finanziario per affermare il proprio dominio nella vita politica, compra televisioni, quotidiani e settimanali e li piega al ruolo di strumenti che formano e gestiscono il consenso della gente, e che condizionano le decisioni del parlamento e del governo. Per questo motivo il pluralismo politico, che è l’essenza della democrazia rappresentativa, richiede il pluralismo dell’informazione; e per la stessa ragione, quando crollano i sistemi totalitari, insieme alla libertà politica rinasce anche la libertà di stampa.
Guardando al dibattito in corso sulle riforme delle istituzioni ritenute necessarie per rendere più efficiente una democrazia che rischia di degenerare in partitocrazia, diventa evidente lo stretto rapporto tra modello politico e modello informativo: ad esempio, si può sostenere che la cosiddetta “ democrazia plebiscitaria” (di cui è anche espressione il presidenzialismo) ha bisogno di essere sostenuta dalla concentrazione dei mezzi d’informazione. La questione del pluralismo dell’informazione diventa così di grande attualità e importanza; ma non la si può ridurre a una questione di convenienza, a uno scontro tra due “partiti trasversali” contrapposti nella lotta per la conquista del potere.